Tredici anni dopo, riecco le manette di Mourinho. Nel febbraio del 2010, dopo un’Inter-Sampdoria diventata celebre proprio per quel gesto, fu tutto spontaneo: presunta ingiustizia, polsi incrociati. Non si può dire altrettanto stavolta: l’immagine è stata postata sui social a freddo. Eppure il clamore è stato comunque grande, perché José sa come crearlo. E anche in questa circostanza è riuscito a trasformarsi in vittima: lui vessato dalla Corte sportiva d’appello, che non gli ha tolto nemmeno uno dei due turni di squalifica (e così salterà, oltre al Sassuolo, anche il derby di domenica 19).
Il caso è noto, se ne parla ormai da due settimane, cioè da quando la Roma è crollata a Cremona e Mou è stato espulso per una lite con il quarto uomo Serra. Il quale, nella circostanza, ha sicuramente sbagliato, tant’è vero che gli è arrivato il deferimento da parte della Procura federale (e la sua carriera è adesso a forte rischio).
La Roma, che nell’era Friedkin non aveva mai inoltrato ricorso per le squalifiche dei propri tesserati, stavolta ha fatto un’eccezione proprio perché è sembrato evidente a tutti che l’assistente dell’arbitro avesse provocato il caos. La pena di Mourinho è stata inizialmente sospesa, così è potuto andare in panchina contro la Juve, e la strada sembrava tracciata affinché la squalifica venisse ridotta a una giornata.
Mourinho non sbaglia quasi mai la mossa. Almeno per ottenere ciò che interessa a lui: accendere la bagarre, creare un clima da “noi contro tutti”, anzi da “tutti contro di noi”. Già, ma quanto serve alla Roma che si inneschi un meccanismo del genere? È utile alla società e alla squadra alimentare la tensione all’interno e attorno a un ambiente già surriscaldato? Probabilmente no, perché si rischia di perdere la lucidità. Un pericolo che corrono non solo i tifosi, ma anche il gruppo giallorosso, il quale in campo ha spesso atteggiamenti sopra le righe nei confronti degli arbitri.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – S. Agresti