«He’s a hammer». E’ un martello. I giornalisti inglesi al King Power Stadium descrivono così José Mourinho, dopo averlo (ri)visto giocare la partita con i suoi incontenibili balzi a bordo panchina. Il metodo motivazionale, che punta prima sulla testa e poi sugli schemi, comincia a erogare risultati nella Roma, ormai solida e concreta.
Se ne è accorto anche Gary Lineker, leggenda del calcio inglese e tifoso del Leicester, che ha usato l’ironia british per descrivere le difficoltà impreviste incontrate da Brendan Rodgers nella semifinale di Conference. «Quel cappotto che sembra una volpe argentata – ha scritto su Twitter commentando il look di Mou – è stata una strategia per disorientare noi Foxes. Sta funzionando».
Ecco: con il principio dichiarato della «stabilità», che protegge meglio di qualunque cappotto, Mourinho ha trasmesso un’identità alla squadra che può quasi prescindere dai risultati delle prossime tre settimane: la Roma potrà vincere la Conference League e arrivare quinta in campionato oppure perdere tutto, persino un piazzamento in Europa. L’importante sarà il piano di rafforzamento estivo, semmai. (…)
Ha impiegato meno di un’ora a entrare nel cuore dei romanisti, che lo hanno eletto naturalmente a capopopolo, ha impiegato meno di un anno a creare una Roma a sua immagine e somiglianza. Era il 4 maggio quando i Friedkin, con una semifinale ancora da giocare, ne annunciavano a sorpresa l’ingaggio. In molti all’epoca sospettavano che Mourinho si fosse accontentato della prima offerta disponibile dopo il doloroso esonero del Tottenham. E che mirasse a garantirsi un finale di carriera passionale ma non troppo ambizioso in un bel posto dove vivere. (…)
Detto, fatto. E’ cominciata lì la serie di 13 giornate di campionato senza sconfitte, interrotta sabato scorso dall’Inter che è anche l’unica squadra italiana ad aver battuto la Roma nel periodo esaminato, Coppa Italia inclusa. L’altro ko, ricordato per la rissa da spogliatoio più che per il risultato, è stato quello ininfluente di Bodø, cancellato dal 4-0 dell’Olimpico.
Qualcosa è certamente cambiato nello spirito collettivo, al quale Mourinho ha aggiunto qualche ingrediente decisivo: il lancio di Zalewski, che nemmeno il protagonista immaginava, la definitiva virata sulla difesa a tre (o a cinque) che l’allenatore ha adottato per rassicurare la squadra, la costruzione di un blocco di pretoriani pronti a sacrificarsi per «José, the italian uncle». (…)
Ora la Roma, che nelle ultime 28 partite europee all’Olimpico ha perso solo una volta contro il Real Madrid, è chiamata all’ultimo passaggio: vincere la finale nel giardino di casa per meritare la finale vera, a Tirana. E’ una condizione di partenza invidiabile, alla quale Mourinho ha dato il giusto peso: per uno che ne ha vinte quattro su quattro, di finali europee, nessun risultato è scritto finché non finisce sugli almanacchi.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida
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