Insopportabile, indecente, invereconda. Scegliete voi a quale prefisso “in” abbinare il sinonimo più adeguato per l’oscena prestazione di venerdì sera. Probabilmente avrebbero tutti senso. Non lo ha avuto quella Roma (non) vista in campo. La controfigura di se stessa. O quantomeno della versione gagliarda che soltanto cinque giorni prima aveva dato prova di carattere con l’Inter. In quel caso, dopo essere stata messa alle corde per venti minuti da una squadra sicuramente più pronta e attrezzata, ha avuto la capacità di reagire. L’orgoglio che si tramuta in forza. Ovvero quello che è mancato nel derby, quando si è sciolta alla prima difficoltà.
Al di là degli errori dei singoli, dell’arbitro e del Var, dell’impostazione tattica. Il punto resta la mancata reazione, quella che ha portato chi assisteva all’osceno spettacolo ad appellarsi a parafrasi morettiane: «Fa’ qualcosa di romanista, fa’ qualcosa di romanista. Fai qualcosa anche di non romanista, ma falla!». Esortazioni palesemente cadute nel vuoto cosmico che ha attanagliato chi era in campo, senza però ricordarsi quali colori rappresentava.
Per quale motivo l’evento si verifichi ciclicamente, attiene alla sfera dei misteri che circondano questa squadra. O meglio, a quanto la questione sia di difficile comprensione all’esterno, a meno di non cadere nella facile tentazione dello slogan su attributi che apparirebbero e sparirebbero a gettone, come comandati da un perverso interruttore. Senza nutrire pretese assolutistiche, il tentativo di risposta che più sembra avvicinarsi ai fatti, risiede nell’anima fragile di un gruppo che accetta passivamente l’ineluttabilità di certi risultati. Come se presa un po’ d’acqua, la barca fosse destinata ad affondare. E il tentativo di portarla almeno a riva, se non di tappare la falla e riprendere il largo, inutile.
FONTE: Il Romanista – F. Pastore