Può sembrare un paradosso, ma stabilire se dovesse assegnare o meno il rigore non è l’aspetto più importante della valutazione fatta da Abisso del primo «mani» di Lucioni, all’8’ di Lecce-Roma, il «caso» della 6a giornata (in generale negativa). Per quel che vale, secondo noi sarebbe stato più opportuno punire il tocco con il penalty, e questo motiva la valutazione insufficiente che noi facciamo della prestazione dell’arbitro palermitano.
Ma è più interessante spiegare l’interpretazione del direttore di gara, perché si comprenda come l’aggiornamento regolamentare introdotto in questa stagione, lungi dal fare chiarezza, abbia addirittura allargato il margine interpretativo a disposizione dell’arbitro, rendendo la valutazione dei tocchi con mani e braccia ancor più soggettiva che in passato.
Dunque, ecco cosa è successo all’8’: il portiere del Lecce, Gabriel, non riesce a trattenere un pallone lanciato dalla trequarti, la sfera rimbalza a terra e colpisce il braccio destro di Lucioni, che è molto largo e all’altezza delle spalle (non sopra). Oltretutto, per quello che ha tutta l’aria di essere un riflesso incondizionato, Lucioni allarga il braccio proprio in prossimità del tocco con la sfera, compiendo un movimento innaturale.
Ma allora, perché Abisso non ha assegnato il rigore? Tre aspetti hanno condizionato l’interpretazione dell’arbitro: la distanza ravvicinata, il braccio all’altezza e non sopra le spalle, e soprattutto la dinamica dell’episodio, in cui Lucioni non si oppone ad un tiro avversario (come farà al 78’ con Dzeko, stavolta non scampando al rigore), ma al tentativo di giocata del suo portiere.
Circostanze che – stando alle recenti direttive di Ifab e Aia – confinerebbero il «mani» del difensore leccese in una zona grigia, dove la Var non deve intervenire. Insomma, quasi uno spazio di libera interpretazione per l’arbitro. E di difficile comprensione per tutti gli altri, però.
FONTE: La Gazzetta dello Sport