Aveva un programma, ora sembra un testamento. Il suo è un lungo addio. Michele Uva, 54 anni, direttore generale della Figc dal 2015, vicepresidente Uefa, ha progettato il ricambio generazionale, una formula calcio più equa e moderna, nuove regole.Non tutto è andato liscio, anzi tante turbolenze e interruzioni.
Lei ha lavorato con Tavecchio e con il commissario: ha perso l’ottimismo? «No, continuo a credere nel calcio italiano. Come dimostra la Nazionale: c’è voglia di rialzare la testa. Per giudicare il risultato di un ciclo ci vogliono otto anni. Noi abbiamo ben seminato, ci sono le basi per un risveglio: Under 17-19- 20-21 sono tra le prime in Europa e nel mondo, la Nazionale femminile si è qualificata per i Mondiali 2019. L’Italia torna a correre dopo anni di assenza. La progettualità c’è, un d, g. deve far funzionare la macchina e io il lavoro l’ho avviato».
Significa? «Il percorso naturale di un manager ha necessariamente una durata media. Non si può rimanere a lungo in un posto, soprattutto se vivi il tuo ruolo con forte senso di responsabilità, senza mai staccare. La stanchezza ti fa perdere lucidità, i tuoi colleghi non crescono più e l’azienda rischia di incorporare i tuoi limiti professionali. Bisogna saper andar via al momento giusto, sapendo di aver dato tutto, e senza farsi influenzare dai politicanti sportivi che nell’ultimo decennio in Figc non hanno saputo gridare con autorevolezza. Troppi litigi, cambi di direzione, nessuna unità».
Non è che la Nazionale abbia fatto faville. «Il titolo del 2006 ha illuso tutti. Non si è più investito e abbiamo pagato la decrescita infelice, Siamo cambiati? Si molto. Le nostre tre principali aree di sviluppo hanno riguardato l’attività giovanile, le squadre nazionali, il calcio femminile. Sono più di 800 mila le ragazze e i ragazzi tesserati per la Figc. Abbiamo appena presentato il bilancio integrato: patrimonio aumentato di 20 milioni, con riserve di 40 e una disponibilità di 80. Siamo un’azienda sana pur prendendo 50 milioni in meno dal Coni rispetto al 2011».
Insiste con la semina buona? «Il calcio italiano coinvolge 4,6 milioni di praticanti e 1,4 milioni di tesserati. Per ogni euro investito nel calcio, lo Stato ha ottenuto un ritorno di 14,4 euro. Insisto sulla valorizzazione di un capitale umano. È stato favorito il dialogo tra club professionisti e centri federali, quelli attivi sono 37. Per ammodernare Coverciano abbiamo speso 5,5 milioni di euro. Abbiamo voluto lì gli allenatori di tutte le nazionali, in modo che ci sia scambio e informazioni. Tutte le squadre giovanili ora hanno un tecnico con il patentino. Abbiamo introdotto un nuovo concetto: è il giocatore che crea la squadra, non l’opposto. Il talento va sostenuto, non ucciso dal modulo tattico. Chi ha detto che le sette nazionali devono giocare tutte nello stesso modo? Se hai attaccanti forti, mettili in condizione di dare il meglio. Se hai bravi difensori, sfruttali».
Ma se è tutto così bello perché la federazione è un disastro? «A Miami lo scorso mese ho parlato allo “Sport Business Summit” che fornisce alle aziende spunti per sviluppare il potenziale commerciale»
E cosa c’entra? «C’erano Montagliani della Concacaf. Tebas de la Liga, Klein della Bundesliga International. All’estero le piattaforme per vendere il calcio sono forti perché le governance sono forti. E vanno nella stessa direzione».
Invece in Italia ognuno segue propri egoismi? «L’ho già detto: troppe divisioni. E se il percorso cambia sempre non si può dare continuità alla guida. Un conto è il senso della responsabilità, un altro è lasciarsi annebbiare dalla voglia di potere».
Lei cosa lascia? «Una visione del futuro. E un team di giovani manager, cresciuti all’interno, molto apprezzati anche in Uefa. Se il prossimo governo federale non cambierà rotta dal punto di vista gestionale, il raccolto darà grandi soddisfazioni, Penso al calcio giovanile che continua a incrementare i suoi numeri e include 60mila ragazzi non nati in Italia, le nazionali. il calcio femminile, l’innovazione tecnologica, la trasparenza. In un momento in cui la Lega dilettanti ha perso oltre 100mila tesserati, 3.000 squadre e 2400 società mentre il settore giovanile e scolastico, gestito dalla Figc, è cresciuto di oltre 50mila ragazzi in controtendenza anche alla natalità».
Con Gravina unico candidato alla presidenza, il suo è un addio? «Bisogna essere in due per una buona navigazione. Ci vuole sintonia tra chi ti dà la rotta e chi si mette al timone. Io sono qui, ma non mi sembra ci siano le condizioni».