e qualcuno pensa che Josè Mourinho metta in circolo parole a casaccio; che non ci sia sempre una strategia anche dietro un suo sospiro; che lasci al caso un solo, minimo dettaglio di una sua uscita pubblica; che sia realmente arrabbiato quando commenta un pareggio in casa della Juventus, beh questo qualcuno non ha capito nulla.
Quanto prodotto dialetticamente da Mourinho al termine della partita di Torino è soltanto un capitolo — neppure inedito — del “Manuale del bravo allenatore”, che José ha redatto ormai tanti anni fa. Perché per insultare la squadra dopo un pareggio in rimonta in casa Juve, ci vogliono due cose: o l’assoluta mancanza di controllo del proprio cervello oppure la totale consapevolezza e padronanza del proprio ruolo.
E la certezza assoluta che in quel momento la Roma avesse bisogno di una randellata in faccia e non di coccole o paroline dolci per il punto portato a casa. No: insulti. Per migliorare, ecco l’obiettivo. Per evitare il ripetersi degli errori. E il fatto che Mou abbia pesantemente redarguito (altro eufemismo…) Tammy Abraham, l’autore del gol da un punto, ne è la conferma. Il fine mourinhiano? Alzare l’asticella delle aspettative, non accontentarsi. Non fare sconti a nessuno, mai. Crescere, insomma.
FONTE: La Repubblica – M. Ferretti