Mourinho non è il tipo che può sentire la pressione di due derby persi di fila, peraltro entrambi addebitabili ai black out di Ibañez. Tantomeno si preoccupa di sapere che Dan Friedkin, in città da una settimana e annunciato in tribuna all’Olimpico, possa faticare a digerire un’altra prestazione scadente, anche perché non prevede di trattenersi a Trigoria a lungo: salvo ribaltoni al momento imprevedibili, saluterà la Roma a fine stagione e si accaserà in Arabia Saudita, dove anche nelle ultime settimane lo hanno tentato.
No: il problema di Mourinho è capire, spiegare a se stesso come mai la Roma sia soggetta a periodici sbalzi di umore e di ardore, come è successo giovedì a Praga. Per l’abitudine al successo che ha saputo governare nel corso dei lustri, è difficile accettare la normalità dei saliscendi.
Ai giocatori ne ha dette quattro, anche di più, già nello spogliatoio della Fortuna Arena. In sala stampa li ha accusati addirittura di professionalità insufficiente, forse proprio perché hanno interpretato la partita seguendo alla lettera le previsioni di Sarri. «Come un’amichevole».
Eppure, da allenatore esperto, aveva messo in guardia la squadra dalle insidie della trasferta ceca e aveva schierato la migliore formazione possibile, a parte Cristante che voleva fresco e lucido per il derby. Non è bastato a mantenere il controllo del girone di Europa League: con ogni probabilità la Roma, pure chiudendo a 15 punti con le vittorie contro Servette e Sheriff, dovrà accontentarsi del secondo posto e quindi giocare il fastidioso spareggio di febbraio, già vinto a fatica nella scorsa edizione a spese del Salisburgo.
Ma a questo tema tornerà a dedicarsi dopo la sosta, anzi dopo la partita del 26 novembre contro l’Udinese. Ora c’è solo la Lazio nella sua testa. I giocatori probabilmente l’hanno introdotta nella loro testa troppo presto. Ieri Mou ha nascosto anche alla squadra la formazione. Non vuole trascurare alcun dettaglio. E’ la domenica che deve risvegliarne la grandezza.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida