Winterling, Barror, Colette, Danovaro, Calvo, Brambilla, Norris, Van den Doel, Salvione, Wandell. Non è un’improbabile formazione senza portiere. Sono i nomi dei professionisti che negli ultimi dieci anni si sono alternati (qualcuno c’è ancora) alla divisione commerciale della Roma. In pratica uno all’anno. Uno sproposito. Che certifica come la Roma abbia un problema di reperimento di sponsor, almeno alle cifre che a viale Tolstoj considerano congrue per un brand come quello con la Lupa.
E la voce sponsor è quella che con l’eventuale qualificazione in Champions e, quando ci sarà, lo stadio, può garantire un salto in alto per il fatturato. In attesa dello stadio che la società spera di inaugurare nell’anno del centenario e auspicando che a fine stagione si possa brindare alla Champions, i Friedkin lavorano alla voce sponsor, consapevoli che sia il settore che a breve termine, oltre alla biglietteria, possa portare a un’impennata del fatturato.
Di fatto c’è in corso una mezza rivoluzione. Da qualche settimana è ricomparso il back sponsor che poi è roba di famiglia visto che è Auberge Resort cioè la società dei texani che si occupa di turismo a cinque stelle. Digitabils ha un altro anno di contratto ma già si parla del possibile arrivo di Toyota.
A fine stagione New Balance (la Roma ha appena vinto una causa con il marchio di Boston) lascerà spazio ad Adidas che veste la Juve a cui garantisce 50 milioni a stagione. Sarà un accordo pluriennale, ma a una cifra che i sussurri indicano in 5 milioni a stagione. È qui, in questa differenza, che sta il punto. E su questo stanno lavorando i Friedkin, incapaci di comprendere come un brand come Roma non attiri sponsor e fatturato. Pare che abbiano trovato una parziale risposta. Ovvero vincere. Il resto sarebbe solo una naturale conseguenza.
FONTE: La Repubblica – P. Torri