«Si può davvero sposare la dinamica grottesca secondo cui Daniele De Santis, obeso, conosciuto in quel luogo da tutti, con una pistola da tre chili infilata nella tuta o nelle mutande e con gli occhiali da vista, esca a volto scoperto per fare da esca alla più improbabile delle imboscate, pianificata con quattro ragazzini?». È una domanda retorica quella che gli avvocati David Terracina e Tommaso Politi pongono nella richiesta formulata alla Corte d’assise d’appello di Roma. Un flume di parole e un solo obiettivo: ottenere il secondo grado di giudizio nei confronti di Daniele De Santis. Un nuovo dibattimento in cui la difesa dell’imputato, condannato in primo grado a scontare 26 anni di reclusione perché accusato della morte di Ciro Esposito e del ferimento di altri due tifosi napoletani, punterà a una riforma della precedente sentenza.
Secondo i giudici della terza Corte d’assise di Roma infatti, quel 3 maggio del 2014, in occasione degli scontri avvenuti prima della finale di Coppa Italia disputata tra Fiorentina e Napoli, De Santis «aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi inermi».Nelle motivazioni della sentenza i giudici di piazzale Clodio sostenevano infatti che alcuni «supporters romanisti erano stati convocati da lui (l’imputato ndr) per organizzare un vero e proprio agguato contro l’invisa tifoseria partenopea». Motivazioni, quelle scritte dai giudici, che i due legali di De Santis provano a «smontare» punto dopo punto, sottolineando «il rammarico per la superficialità della sentenza di primo grado». Partendo proprio dal supposto agguato.
Secondo la difesa infatti l’imputato avrebbe adottato un comportamento che mal si addice all’ipotesi di un’azione premeditata. Secondo le dichiarazioni del teste Proietti «il De Santis – si legge nell’atto – era al bar da solo e decideva improvvisamente di recarsi al cancello per aver sentito una gragnuola di esplosioni». Inoltre «l’imputato non aveva incontrato né parlato con nessuno» e dall’analisi dei tabulati risulterebbe «l’assoluta assenza, nei giorni precedenti il 3 maggio, di contatti e chiamate qualificabili di interesse investigativo». Al punto 7 della richiesta formulata dai difensori dell’ex ultras, si cerca anche di non rendere ammissibile la testimonianza della criminologa Angela Tibullo. «Il narrato della Tibullo – scrivono i legali – confligge con il contenuto della registrazione acquisita» il 25 maggio, mentre la vittima era in ospedale. «Ascoltando il nastro e leggendo la relativa trascrizione – accusano gli avvocati – ci si rende conto plasticamente di come il povero Ciro Esposito (peraltro all’epoca indagato) non fosse in grado di ricordare alcunchè e, soprattutto, di come in realtà non abbia mai detto ciò che la Tibullo gli mette in bocca». E poi c’è la vicenda che riguarda il teste Raffaele Puzone, che dopo le testimonianze contraddittorie rese in aula, si sarebbe trincerato dietro la facoltà di non rispondere, non permettendo dunque il controesame difensivo. Dal supposto tentativo di fuga di De Santis fino alle testimonianze che smonterebbero la tesi dell’agguato. La difesa si prepara al secondo round puntando sulla legittima difesa.