Non è andata come l’altra volta, non è andata come avrebbe sperato. Dal gol decisivo dello scorso campionato, utile a sigillare un prezioso 2-2 contro l’Inter, Gianluca Mancini è passato a un sabato da incubo, per giunta con la fascia di capitano attorno al braccio. È lui adesso uno dei principali imputati della sconfitta, almeno nell’ottica di Mourinho. L’allenatore si aspettava di più da lui, in termini di aggressività e tenacia, nel momento di difficoltà. Mourinho aveva pensato a uno schieramento ultradifensivo, proprio affidamento a Mancini e Smalling il compito di governare l’area di rigore. Invece Simone Inzaghi, che aveva studiato la Roma e sapeva che Ibanez avrebbe giocato fuori ruolo, ha martellato l’avversario sul lato debole con qualità di Calhanoglu, Perisic, Correa e Bastoni.
Mancini, che in teoria sarebbe stato il principale scudiero di Ibanez, è andato in continuo affanno sugli attacchi dell’Inter. Meglio si è comportato con la palla al piede, tentando di scuotere la squadra di tanto in tanto con i ribaltamenti di fronte, ma non abbastanza da rimediare ai peccati difensivi. Mancini resta uno dei fedelissimi di Mourinho, che ne ammira la mentalità ambiziosa e il coraggio da leader. Ma sta vivendo una fase di involuzione abbastanza evidente, in linea con il rendimento generale della squadra. Già a Bologna si era istintivamente voltato sul tiro vincente di Svanberg. E anche in altre partite aveva commesso degli sbagli decisivi dovuti alla scarsa concentrazione: a Venezia per esempio ha tenuto in gioco Okereke sul contropiede del 3-2, su una palla lunga leggibile. Per un difensore bravo e dominante sono disattenzioni gravi.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida