Pallotta è «disgustato», Monchi dopo mezz’ora della ripresa ne ha abbastanza e decide di lasciare la tribuna del Dall’Ara, i senatori chiedono scusa ai tifosi sotto ad un settore ospiti in piena contestazione e Di Francesco si porta i cocci di una Roma irriconoscibile a casa, tra milioni di domande e una soluzione da trovare prima che sia troppo tardi. La cercherà tra le mura di Trigoria, dove da ieri sera la squadra è in ritiro (tranne Dzeko che aveva già ottenuto un permesso speciale per fermarsi a Milano alla festa dello stilista Dolce con la moglie) e ci resterà fino al Frosinone: una decisione necessaria, condivisa dalla dirigenza e dal tecnico.
D’altronde, mai c’era stato un inizio di stagione così nero nell’era americana, l’ultima volta che i punti corrispondevano alle giornate giocate, 5, era nel 2010-11 e la crisi culminò a febbraio con l’esonero di Ranieri e il ritorno di Montella da allenatore. I giallorossi chiusero il campionato al 6° posto, lontanissimo dagli obiettivi che una semifinalista di Champions League può permettersi di avere. Tira un’aria pesante e il più arrabbiato di tutti è il presidente Pallotta: «Una disgrazia. Mi viene il mal di stomaco a guardare questa schifezza», traduzione letterale del pensiero raccolto da RomaPress.us dopo la partita. Uno sfogo che fa tornare in mente le frasi, molto simili, usate nel gennaio 2016 poco prima di cacciare Garcia.
Per ora Di Francesco incassa la fiducia del suo capitano e di Monchi, che però parla a scatola chiusa nel pre-partita di Bologna e difende anche se stesso: «Presto per dire che il mercato è sbagliato, ma sono il massimo responsabile di tutto. Il mister non è sotto osservazione, sappiamo che ha voglia di cambiare rotta». Non ci è riuscito, però. La Roma e il suo allenatore appaiono distanti come mai prima d’ora e se lo sforzo non dovesse arrivare da entrambe le parti difficilmente le strade si riappianeranno.
Il derby sembra già uno spartiacque della stagione, e non può non far paura. I fratelli Inzaghi ridono, Di Francesco piange ma non si dà per vinto: «La forza sta nel reagire. Non posso più sbagliare, devo scegliere gli uomini giusti più che i calciatori giusti. lo credo che sia al di là dell’allenatore portare questa maglia, ho fatto il calciatore e so cosa significa: è una questione di serietà, di personalità, di attaccamento e noi questo non lo stiamo dimostrando e dobbiamo tirarlo fuori».
La contestazione dei tifosi è iniziata sugli spalti del Dall’Ara, gli oltre 2 mila romanisti nel settore ospiti hanno fatto sentire la loro voce: «Tifiamo solo la maglia», «ci avete rotto il c…», «mercenari» e «andate a lavorare» i cori più gettonati. Gli insulti ci sono per tutti, anche per la società, ma è l’atteggiamento molle dei giocatori in campo ad accendere gli animi: «Venite sotto la curva», l’invito raccolto solo da alcuni, Florenzi, De Rossi, Kolarov e Pastore hanno chiesto scusa prima di sfilare a testa bassa negli spogliatoi. Poi tutti via dallo stadio in pullman, direzione Roma, perché salire sul treno per la stazione Termini significava darsi in pasto ai contestatori. «Ci prendiamo le critiche e zitti», dice Di Francesco, che deve per primo rimettere ordine alle idee: «Non so quale modulo userò, sceglierò a mente fredda. Di sicuro abbiamo poca solidità difensiva e dovrò cambiare ancora. Non posso stare fermo a guardare». La Roma è la sua grande occasione e non vuole lasciarsela scappare, per questo proverà a rimettere insieme i pezzi cercando di rientrare nelle teste dei giocatori, i primi ad essere responsabilizzati dal ritiro punitivo di Trigoria.