«Siete sicuri che il closing sarà a Londra? Magari lo faremo a Boston, o a Roma, o in Croazia…». E’ la notte di Ferragosto, il telefonino squilla: è James Pallotta dall’altra parte dell’oceano a scrivere su whatsapp. Non è un messaggio di auguri. Ci contatta per puntualizzare alcune indiscrezioni che non gli sono piaciute, a proposito della cessione della Roma a Dan Friedkin prevista per lunedì 17. Sulla proprietà dello stadio di Tor di Valle, ad esempio, Pallotta chiarisce: «Se abbiamo utilizzato un’altra società invece che direttamente la Roma, se le due entità erano separate, è stato solo per problemi legali e finanziari. Non c’era una strategia. Dei ricavi avrebbe comunque beneficiato il club». Che però avrebbe dovuto continuare a pagare un affitto come rimborso all’azionista, più o meno in linea con gli oltre 3 milioni annui che la Roma versa al Coni per giocare all’Olimpico. Friedkin, nel medio/lungo periodo, è intenzionato ad abbattere questo costo per far diventare lo stadio un patrimonio del club: «Friedkin vedrà…» dice Pallotta, sibillino.
Il presidente esclude di aver chiesto ai dirigenti della Roma di non avere contatti con Friedkin prima del closing: «State scherzando? Non potrei mai pretendere una cosa del genere. Anzi, posso dirle che alcuni dei miei manager hanno parlato a Friedkin giusto pochi giorni fa. Ho offerto all’acquirente sin dallo scorso autunno la mia totale disponibilità a collaborare. Sono pronto a dare consigli, in modo che Friedkin possa imparare dai miei errori per non ripeterli. E’ un fatto che nessuno può negare, perché ho pronunciato queste parole davanti a molti testimoni». Il pensiero si chiude con una rassicurazione ai tifosi, che ribadisce il concetto espresso nel comunicato che certificava l’accordo preliminare: «Ho sempre pensato al bene della società. Voglio che la Roma abbia successo in futuro. Chiunque sia il proprietario».
FONTE: Il Corriere dello Sport