L’ex giallorosso, Zibì Boniek, ha rilasciato un’intervista dove ha parlato di tutto e di più:
Boniek, se lo ricorda l’assist per Pruzzo in Milan-Roma? “Come fosse ieri. Un cross che lui spinse in rete di testa. Un gol semplice ma di vitale importanza. Ma non fu una sorpresa battere il Milan in trasferta a quel giro”.
Perché? “Eravamo fortissimi. E non avevamo paura di nessuno”.
Il più forte? “Non dirò il mio nome né di un singolo compagno. A centrocampo eravamo io, Cerezo, Ancelotti e Bruno Conti, davanti poi c’erano Pruzzo e Graziani. E dalla panchina potevano entrare giocatori di qualità”.
Dall’altra parte c’era un certo Agostino Di Bartolomei… “Non lo conoscevo come persona però era un elemento importante nel panorama nazionale”.
Come si spiega quel buco di vittorie a Milano durato 20 anni? “Non è mai facile vincere a San Siro, alla fine è sempre un impresa. Oggi come ieri, Prima o poi le strisce positive o negative si interrompono e non esistono spiegazioni scientifiche. Va detto che in quel lasso di tempo c’era il Milan di Berlusconi e Sacchi”.
Quello di Gullit, Rijkaard e Van Basten… “lo lo definirei di più di Maldini, Costacurta, Baresi e Tassotti. Giocare contro di loro era quasi impossibile. Andavano in pressing, non lasciavano un centimetro libero e poi sapevano metterla sul piano fisico. Erano dei fenomeni n blocco e singolarmente”.
Cosa le è rimasto dell’esperienza a Roma? “Tantissime cose belle. Ma di certo potevamo vincere di più in generale”.
Si riferisce allo scudetto? “Mi piacerebbe rigiocare la partita contro il Lecce del 1986. É una ferita aperta”.
Altre? “Sicuramente la semifinale Polonia-Italia del Mondiale con me in campo”.
Che giocatore era Boniek? “Un giocatore che non esiste più”.
In che senso? “Potevo fare il libero, il centrocampista, l’ala, la seconda punta o l’attaccante centrale. Indossare la maglia 4.8 110 9. Ero veloce e questo mi aiutava. Al Mondiale ho realizato una tripletta al Belgio da prima punta. Ma ma nella Roma sono scalato anche dietro per sette partite e non abbiamo mai perso. Eriksson mi chiese se potevo dare una mano, ho detto si e sono diventato libero. Erano altri tempi”.
Già, il calcio è cambiato. In che modo secondo lei? “Le regole sono diverse, l’atteggiamento dei giocatori, i metodi di allenamento, anche il rapporto con il cibo. Ai miei tempi esisteva solo la marcatura a uomo. Mi chiedo se Messi sarebbe diventato Messi se fosse stato marcato come Maradona. I falli erano duri, l’idea era di fare male. Oggi i calciatori si urtano in spazi ridotti e senza cattiveria. Insomma, è tutto diverso”.
E i cross sono diventati un optional… “Ci sono evidenti carenze tecniche. A volte mi domando se gli esterni ei terzini restano alla fine dell’allenamento per provare 50-60 cross. Credo di no. Si è visto anche nel derby di Roma in Coppa Italia”.
Lei come arrivò alla Roma? “In realtà dovevo venire subito quando lasciai la Polonia, ma ci furono dei ritardi burocratici e si inserì la Juventus. Poi parlai con Dino Viola, mi voleva ancora e allora accettai la destinazione Roma alla scadenza del contratto. Era destino”.
Gli stranieri erano pochissimi? “Si, è vero. I migliori. Ma il livello era già altissimo. In Italia c’era il calcio più bello mai visto al mondo. La parabola d’oro secondo me è iniziata negli anni ’80. E poi è durata almeno un decennio”.
Intanto Milan-Roma è dietro l’angolo. Che partita si aspetta? “Vedo il Milan leggermente favorito sulla Roma, ma spesso i favoriti vanno nello spogliatoio senza bottino pieno. Si affrontano due squadre con le ossa rotte che devono gestire l’eliminazione in Coppa Italia. Credo che la palla sia in mano a Pioli e Mourinho. Chi saprà toccare meglio i tasti giusti probabilmente vincerà il big match. La Roma sta vivendo un momento di difficoltà e incertezza, con il rinnoνο ο ποπ τίπnovo di Mourinho. Il Milan deve gestire il passaggio a vuoto contro l’Atalanta”.
Tiferà? “Certo, forza Roma”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – L. Scalia