Se serviva un segnale chiaro per chiudere il ciclo Fonseca, rimasto fino all’ultimo appeso all’ipotesi finale di Europa League, questo è arrivato da Manchester. Anzi, ne sono arrivati sei, come gli inesorabili gol degli inglesi che non si fermano quando trovano terreno fertile, una controparte molle, arresa, che evapora come neve al sole.
La parola fine apparsa all’improvviso sulla stagione della Roma significa fine per tutto: coppa, campionato, allenatore, squadra, vertici societari. E fine anche degli alibi: quelli non fanno che aumentare i danni del triste bilancio finale. Basta alibi per il tecnico che in maniera così maldestra aveva deciso di puntare tutto sulla coppa abbandonando inspiegabilmente il campionato dopo essere arrivato addirittura al terzo posto.
Sì, sarà stato anche sfortunato, ma due indizi fanno una prova… figuriamoci quattro o cinque! Per la squadra, che si deve prendere la sua parte di responsabilità per l’ennesima figura imbarazzante. Perché è vero che alla fine paga sempre l’allenatore, ma questo «poveraccio » di Fonseca forse non immaginava di avere un gruppo così scarso e così carente in attributi e qualità. E a questo punto che paghi solo lui è davvero una cosa ingiusta.
Infine tempo e alibi sono terminati anche per la società. Vero, i Friedkin stavano pagando un conto non loro perché a quella tavola avevano banchettato altri lasciando solo il conto da pagare, ma adesso la storia cambia. Da qui in avanti la coppia «fantasma » (ci sono ma non vi vedono, ne si sentono) deve iniziare a metterci le mani: in maniera pesante.
Non basta cambiare un tecnico, un paio di giocatori a fine carriera e cercare di piazzare alcuni pezzi davvero difficili da sistemare sul mercato (ma chi se li prende i vari Pastore & Co.?). Compito arduo che tocca al «povero» Pinto. Serve intervenire, sfoltire anche a livello societario, perché i dirigenti che hanno sbagliato e sono co-artefici del fallimento devono pagare lo stesso conto presentato a Fonseca. Altrimenti qualcuno potrebbe pensare che i Friedkin non hanno il polso e la qualità per farsi rispettare e dettare la linea.
Sono loro che devono decidere cosa fare di questa Roma, in che direzione andare e con chi al timone: e non parliamo di quello relativo solo alla squadra. Perché Roma è una città bellissima, dove si possono fare come fantastiche, dove si incontrano persone meravigliose (con o senza microfono), altre che stringono mani, ti danno pacche sulle spalle e stendono tappeti rossi e dove ti puoi sentire al centro del mondo.
Però è anche una piazza difficile, fatta di un pubblico competente pronto a dare fiducia alla nuova proprietà e ad accettare il nono allenatore degli ultimi dieci anni. Ma alla fine tirerà una linea rossa e non farà sconti a nessuno. Dopo ventuno anni di nulla, è giusto così: a tutto c’è un limite!
FONTE: Il Tempo – T. Carmellini