Francesco Totti compie finalmente 40 anni. Finalmente, perché è stato un compleanno lungo, decorato di troppi significati, di troppi messaggi, come quelli che la moglie Ilary Blasi, “lei quoque”, ha affidato alla Gazzetta: “Spalletti? Un piccolo uomo. Pallotta? Prima pensi, poi parli”. “Iena” di fatto. I 250 gol che il marito ha realizzato in Serie A, l’ultimo al Toro su rigore, portano lontano, portano addirittura al 4 settembre 1994, giorno del primo, al Foggia.
IN SERIE A lo aveva lanciato Vujadin Boskov, il 28 marzo 1993, a Brescia. Boskov, quello che “un grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri”. Lo voleva il Real, Totti. Invece: Roma, Roma, fortissimamente Roma. Da Pupone a capitano, ha scelto liberamente di essere prigioniero, come tutti i baciati dagli dei che, per i credenti, dei diventano e rimangono, nei secoli dei secoli. Michel Platini si ritiro a nemmeno 32 anni, Totti è ancora 11 che prende a schiaffi i luoghi comuni e, forse, il buon senso. Ogni volta che entra e segna o fa segnare , fa sognare. Non risolve i problemi: al contrario, allontana la soluzione. Sembra un paradosso, ma la classe non e acqua, anche se talvolta, letta con le lenti dell’età, disorienta. Se Roma 2024 e un pericolo scampato, Totti 2016 resta un’idea viva, in barba alle convenzioni e alle convinzioni. Alessandro Del Piero aveva un esercito di tifosi, Francesco può contare su una marea di genitori, pronti a tutto pur di perpetuarne la saga. E persino a Torino, domenica, il loggione granata gli ha tributato, all’ingresso, un applauso sincero. Perchè si, si può essere pro o contro, e di solito noi italiani siamo visceralmente contro, ma Totti e Totti, uno dei più forti giocatori del dopoguerra. Al suo posto, avrei smesso da un pezzo. Tra ovazioni e orazioni. Alla Platini. “Licenziato” dalla Juventus, Del Piero scelse di fare il Buffalo Bill in Australia e poi in India. Non vi dico la malinconia, da devoto, nello sbirciarne i fragili dribbling, le tristi rincorse. La Serie A è così scarsa che Totti, “questo” Totti, potrà giocarvi fino a 50 anni. Contento lui. Senza, l’Olimpico è un pasticcio di ambigui silenzi. Non appena ne fiuta l’avvento, si trasforma in un piccolo deposito di mortaretti. Tanto che Radja Nainggolan, che della Roma attuale riassume la dedizione fachiresca ancorché appannata, si e rivolto al popolo: “Perche ci sostenete solo quando gioca Totti?”. Non ci sono risposte logiche, ci sono esclusivamente analisi dettate dalla pancia, dal cuore. Per quella Roma che ha spesso giustificato i fallimenti con i complotti, privilegiando il vittimismo alle terapie radicali, Totti incarna l’ultimo Piave. D’altra parte, non è che attorno alle sue scintille l’Italia dello sport sia motto cambiata. Nella caccia ai Giochi si agitavano i moschetti di Franco Carraro e Luca Cordero di Montezemolo, non proprio due cuccioli; Marcello Nicchi e stato confermato presidente degli arbitri e siamo già al terzo mandato. In Lega gira la notizia del ritorno di Adriano Galliani, lo zio Fester che, guarda caso, avrebbe voluto portarlo al Milan.
IL K.O. DI TORINO brucia. Dicono che lo spogliatoio della Roma sia una polveriera. Luciano Spalletti ha parlato di “menti malate”. Lui che, la domenica di Roma-Palermo della stagione scorsa, espulse Totti da Trigoria per eccesso d’intervista. Folgorato, Sandro Veronesi, l’autore di ‘Caos calmo’, avrebbe voluto dedicare un racconto ai quattro minuti che servirono a Francesco per rovesciare, con una doppietta, il destino di Roma-Torino, da 1-2 a 3-2. Era il 20 aprile. Totti alla Jose Altafini: in panchina e poi, quando serve, in campo. Voglia di dieci. Fame di dieci. Nostalgia di dieci. Non solo nelle scuole che hanno appena riaperto. Al civico numero 10 abita(va) la fantasia. E la maglia che, all’oratorio, si brandiva come uno scalpo e si indossava come uno smoking. Chiudevi gli occhi e si aprivano i sogni. Dieci, come la moto del Che o le sgommate di Jack Kerouac ‘on the road’. Dieci, come la maglia di Francesco, un Mondiale e uno scudetto dopo.