«Io non mi deformo». Forse un giorno la blobberanno quest’espressione di Luciano Spalletti, tirata fuori da un vocabolario sempre originale, di sicuro molto più dell’argomento «Francesco Totti», quello che è stato , che è e – chissà mai – sarà il capitano della Roma. «Io non mi deformo» è in fondo tanto vero che basta una domanda che conosci già ma in un momento che non t’aspetti – quando pensi che la conferenza sia ormai finita – per ripartire dal via. Troppo vivo quell’argomento per tenere a freno la tentazione di ripiazzare i soliti puntini sulle «i», anzi rilanciare con una provocazione. «Facciamo così: se Totti il prossimo anno continuerà a giocare, io sarò ancora l’allenatore della Roma. Se lui smetterà, smetterò anch’io». Eccolo: è solo l’ultimo accenno, il terzo momento in 40’ di conferenza pre Fiorentina in cui Spalletti ha lasciato intendere come il suo futuro nella Roma sia una partita tutta da scrivere, non certo o almeno non solo per il contratto in scadenza a giugno.
FUTURO – Il blob è tutto qui: «Io mi deformerò a fine anno, se mi devo deformare – ha detto Spalletti –. Ora no. Questa è una Roma forte, più forte della scorsa stagione (anche se poi dirà «abbiamo solo un centravanti gli altri ne hanno di più», ndr). E io continuerò a seminare, pronto a vedere se qualcosa nasce. Confermo: questo è l’ambiente ideale. Certo che vivere tra le tensioni fa diventare tutto più difficile. Ma dobbiamo lavorare nella maniera più corretta, fare un percorso dove lasci dei paletti, dove tu fai vedere che quella è la strada da continuare». Continuare da chi avrà voglia, oltre che con un contratto. E chissà se con lo stesso vocabolario: «Picchettare il futuro dev’essere l’obiettivo, c’è ancora lavoro che aspetta di essere fatto per lasciare una Roma migliore di come l’abbiamo trovata». Quella che ha trovato è ancora tremendamente attaccata al rendimento e alla personalità di Totti. Un pregio e un limite, che Spalletti ha sottolineato ancora, proprio perché deformarsi no, non era il caso: «Più di dire che è un genio, cos’altro devo fare? Francesco è straordinario, ma qui non si vincerà mai niente solo con lui. Quando la Roma trionfò, lo fece perché aveva anche altri grandi calciatori straordinari. Poi, negli anni successivi, sempre e solo con Francesco, non si è vinto più. Lui sì, lui ha vinto tanto, ma la squadra no: da solo Totti non basta». Basta per giocare intorno alle polemiche, perché il nome di Totti sempre ha spostato e sempre sposterà, anche a 40 anni. «Ma è possibile che qui non vada mai bene niente? Il nome di Francesco viene usato in maniera sbagliata, anche lui lo avverte. Viene usato per spaccare la Roma, per creare distacco. Il record di punti l’anno scorso l’ha determinato la Roma, non un calciatore solo». Il riferimento dell’allenatore è al mondo giallorosso. È a quell’ambiente che lui stesso definisce ideale, prima di far capire altro.
IL LUTTO – E prima di svelare una chiacchierata con il capitano di ieri mattina: Totti (cui alla stazione nel pomeriggio è stata scippata la felpa, poi restituita) si è allenato in solitario a Trigoria per aver la possibilità di partecipare ai funerali della zia Teresa, cui aveva dedicato il gol con la Samp: «Abbiamo fatto colazione insieme, ho parlato con lui anche di quello che aveva detto Nainggolan (il belga in settimana aveva invitato i tifosi a tifare anche senza Totti in campo, ndr). La Roma dev’essere anche altro. E Francesco deve darmi una mano a diffondere questo messaggio, a far crescere altri giocatori importanti come lui. Non attribuitemi una responsabilità che non ho, quella di voler far smettere Totti». Anche perché, come dice Ilary Blasi: «Francesco deve decidere da solo quando smettere, io gli sarò accanto in ogni caso. È un ciclo che si chiude, ma il punto deve metterlo lui». E Spalletti metterà quello su se stesso: «Per me funziona come con i direttori di giornale: se vendi poche copie devi smettere, se vinco poco vado a casa. Siamo figli dei risultati». Anche in un ambiente ideale.