La Roma rompe il silenzio su Tor di Valle. Il tempo stringe, la consiliatura Raggi è agli sgoccioli. E le parole di Guido Fienga, amministratore delegato del club giallorosso, fanno suonare più di un campanello d’allarme: “Se il Campidoglio non arriverà alla revoca dell’interesse pubblico sul vecchio progetto, sarà impossibile parlare del nuovo. O il voto in aula sulla delibera già approvata in giunta arriverà nelle prossime due settimane oppure ci vorranno almeno altri 12 mesi prima di discuterla. Di mezzo ci sono le elezioni e la formazione della nuova giunta. Se passerà ancora un anno, perderemo sia l’interesse degli investitori sul progetto che l’onda del Recovery Plan e della ripartenza post-Covid. Se così sarà, piuttosto che ricascare in un procedimento lunghissimo, i tifosi dovranno rinunciare all’idea di avere anche il nuovo stadio”.
Dottor Fienga, dopo oltre 8 anni dall’inizio dell’iter la Roma è di fatto ancora legata a Tor di Valle… “No. La nuova proprietà della Roma, dopo una scrupolosa analisi, ha ritenuto quella strada non più sostenibile. Il vecchio progetto presentava grossi problemi legati alla titolarità e alla disponibilità dei terreni, senza contare il quartiere di uffici da realizzare attorno all’impianto. Quel progetto, considerato l’impatto del Covid sul mercato immobiliare, non avrebbe portato risultati alla squadra. Così abbiamo comunicato a Eurnova, promotore dell’operazione, e al Comune la nostra indisponibilità a proseguire”.
Eurnova insiste, minaccia causa… “Siamo tranquilli. Sono passati 8 anni. Il progetto era stato sostenuto dalla società con la genuina intenzione di far crescere la società. Purtroppo il mondo nel frattempo è cambiato e quell’operazione non porta più nessun vantaggio al club. A Tor di Valle non andremo mai. E avere una squadra nel progetto è uno dei requisiti della legge sugli stadi. La revoca non è un passaggio finale, ma il primo per il nuovo progetto”.
Che piani avete?
“Vogliamo diventare promotori di un impianto sostenibile, che venga incontro alle esigenze dei tifosi. Un posto che piaccia ai fan, vicino al cuore di Roma, senza costringerli a lunghe migrazioni per ogni match”.
I 5S temono di essere trascinati in tribunale da Eurnova. Oppure dalla Cpi di Vitek, che ha appena acquistato i terreni di Tor di Valle. La Roma non teme la stessa sorte? “Siamo convinti che non ci siano eventuali profili di responsabilità. Questo passaggio non deve preoccupare i consiglieri e la Roma. Siamo sereni”.
Ma il tempo stringe e la discussione sulla revoca (messa giusto ieri all’ordine dei lavori) non è ancora iniziata. Con l’ingresso di Vitek la delibera potrebbe essere riscritta, perdendo altro tempo. “L’atto della giunta Raggi, che ha compreso la situazione, è già stato vagliato da più commissioni. La delibera, al di là delle considerazioni sulle problematiche soggettive del proponente, parte da una considerazione vera. La Roma ha comunicato che lì non andrà mai”.
Ipotesi: il consiglio si scioglie per le elezioni ad agosto senza votare la delibera. Cosa rischia la Roma? “Oggi giochiamo all’Olimpico, un impianto di cui non siamo proprietari e di cui non gestiamo nemmeno la vendita delle bibite. Vogliamo uno stadio nostro, una casa dove i romanisti possano vivere il club 7 giorni su 7 e la società possa avere un ritorno economico come le squadre inglesi. Non vogliamo case o uffici. Roma così perderebbe uno dei più grandi investimenti sulla città”.
Quali sono le ipotesi in campo? Il Flaminio va scartato?
“Ha un valore storico e simbolico, ma anche tanti vincoli. Sono state proposte altre aree (in pole ci sono l’ex Sdo di Pietralata e il terreno Eni all’ombra del Gazometro all’Ostiense, ndr) di fascino. Ma siamo bloccati”.
La sindaca Raggi giovedì ha incontrato Mourinho e i Friedkin in Campidoglio. Si è parlato di stadio? “Ci ha fatto molto piacere che abbia trovato il modo di dare il benvenuto al mister. Comunque non era quella l’occasione per parlare dello stadio. Ci siamo già confrontati. Vitek? Rispettiamo l’imprenditore. Ma le nostre valutazioni non cambiano. A Tor di Valle non andremo mai”.
FONTE: La Repubblica – L. D’Albergo