Se fosse vero il proverbio che tutte le squadre portano a Roma, allora sarebbe possibile anche il contrario: da Roma si può andare dappertutto. Anche in Champions League, pur passando da percorsi estremamente differenti. In fondo è quanto sta accadendo nella Capitale con la squadra di Sarri e quella di Mourinho, protagoniste – insieme allo straordinario Napoli – di questo straordinario “rinascimento” del centro-sud che sta estromettendo dal podio il calcio milanese.
I fatti raccontano che, considerando i 199 milioni spesi per rilevare la Roma da James Pallotta e i suoi soci, la famiglia Friedkin ha investito fin qui circa 750 milioni, a fronte di una società che accusa perdite di oltre 200 milioni. La filosofia iniziale è stata quella della “tabula rasa”. Tutto il vertice è stato azzerato in tempi rapidi. La rivoluzione americana non ha lasciato spazio a ripensamenti, concedendo ampie deleghe al general manager Tiago Pinto (per tutto quello che concerne la sfera tecnica) e al ceo Pietro Berardi (per l’ambito amministrativo).
Due esempi possono essere illuminanti: la rinuncia secca al precedente progetto di stadio a Tor di Valle (per ripartire da zero nell’area di Pietralata) e l’uscita dalla Borsa, perseguita con rapidità e ostinazione. Dal punto di vista tecnico, l’ambizione è stata subito saziata dalla vittoria di un trofeo (la Conference League) che mancava da 14 anni.
Nel frattempo, però, i problemi di bilancio hanno costretto a sottoscrivere quel “settlement agreement” con la Uefa che lega le mani agli investimenti onerosi, se non supportati da una crescita del fatturato. Proprio per questo il discorso sul futuro dello Special One sembra essersi incagliato, anche se – con un puro pragmatismo “made in Usa” – i magnati contano di avere in mano un contratto fino al 2024 che dovrebbe garantirli. Sarà così?
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini