La parabola di Tiago Pinto, ad appena 36 anni nominato general manager della Roma, somiglia un po’ a una di quelle storie hollywoodiane che presuppongono il lieto fine. Laurea in Pedagogia, master in Economia e passione per lo sport, elementi che lo conducono un giorno a poter parlare all’assemblea generale del Benfica, di cui è diventato socio. Presentando le sue idee sul potenziamento del club al Cda, viene poi contattato e gli viene offerta l’opportunità di guidare la divisione multisportiva.
Sotto la sua guida di Pinto, il Benfica vince oltre cinquanta titoli tra basket, futsal, pallavolo, pallamano e hockey a rotelle. Abbastanza perché alla fine della stagione 2016-17 venga chiamato ad assumere la carica di «Director of Professional Football». Quella stagione si chiude con la vittoria del campionato e una Coppa di Portogallo, ma quelli che Pinto sente davvero suoi sono le 2 Supercoppe di Portogallo successive e, soprattutto, il campionato 2018-19, quello della «reconquista».
Aconvincere la famiglia Friedkin all’ingaggio di Pinto, che dovrebbe avere un triennale da circa 1,2 milioni a stagione, è anche la capacità di generare reddito, forse anche ai buoni rapporti che si dice abbia con Mendes. Solo la cessione di Joao Felix, Ruben Dias ed Ederson hanno portato nelle casse del club circa 235 milioni, a fronte di una spesa complessiva di appena 500 mila euro.
Con l’ingaggio di Pinto, che s’insedierà a gennaio, l’impressione è che la Romavogliamarcare una discontinuità col passato. Come era stato ventilato da qualche settimana – dopo aver esaminato profili dirigenziali di grande nome, come Rangnick, Berta o Campos – per la nuova proprietà non c’è più bisogno di un d.s. carismatico alla Sabatini o alla Monchi, piuttosto a una figura utile a scovare talenti, a lavorare in équipe (soprattutto nelle trattative) e a rispondere spesso alla presidenza. Non è un caso che si segnala come il portoghese risponderà solo a Dan e Ryan Friedkin.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini