Magari si saluteranno con le tre dita, Aleksandar e Sinisa. O più semplicemente sorrideranno ricordando quei consigli sul piede sinistro, le partite con la Serbia, le domande e le risposte. Una telefonata non allungò la vita, ma fece nascere un’amicizia che dura da dieci anni. Kolarov e Mihajlovic, oggi a Torino. E la testa torna all’estate 2007: il «bambino» Aleksandar, 21 anni e ancora qualche brufolo qua e là, arriva alla Lazio da perfetto sconosciuto. Per quasi tutti, non per Walter Sabatini – allora d.s. biancoceleste – né per Mihajlovic. Sergio Berti, che di Sinisa fu il procuratore da giocatore e di Kolarov segue tuttora ogni passo, favorisce il contatto. Il ragazzo arriva con la fama, presto confermata sul campo, del tiratore mancino. Sinisa chiama Aleksandar e gli dice una roba del tipo «per qualsiasi cosa, aiuto o consiglio, io sono qui».
IN NAZIONALE – Mesi dopo, quando i primi sinistri di Kolarov cominciano a far male ai portieri avversari, il parallelo tutto serbo nasce spontaneo. Ma Mhajlovic frena: «Tra me e lui c’è una differenza. Io abbinavo potenza a precisione, lui cura troppo poco la seconda, in questo deve migliorare». Col tempo è cresciuto anche qui, Kolarov. La punizione con cui ha regalato i tre punti alla Roma contro l’Atalanta, o la pennellata sulla testa di Dzeko contro il Chelsea, sono potenza quasi zero e precisione quasi mille. Consigli preziosi, con l’intercessione degli amici comuni Roberto Mancini e David Platt, che ai tempi del City seguivano da vicino gli allenamenti sui piazzati di Kolarov. E anche correzioni pratiche sul campo, perché Sinisa è stato pure allenatore di Aleksandar, c.t. della Serbia per un anno e mezzo tra il 2012 e il 2013. Sai che spettacolo sarebbe stato, vedere quei due mancini insieme in campo. Per poco insieme non si sono ritrovati i figli: al ritorno a Roma, la scorsa estate, Kolarov aveva pensato di iscrivere i figli Una e Nikola nella stessa scuola frequentata da uno dei figli di Mihajlovic.
SPORCHI E CATTIVI – L’incrocio tra gli eredi non s’è materializzato. Quello tra i padri ci sarà oggi. Kolarov ha il cartello del divieto di sosta appeso sul collo: non ha ricambi, ma in fondo pure se li avesse sarebbe impossibile farlo fuori, centrale com’è nel gioco di Di Francesco. A maggior ragione se – dice l’allenatore della Roma – «la partita col Torino è più difficile di quella col Chelsea. Magari all’inizio saremo un po’ “sporchi” considerata la stanchezza dei viaggi, ma questo tipo di partite dobbiamo vincerle. A Londra abbiamo perso due punti».
I BUU DI LONDRA – E la beffa sarebbe una sanzione dall’Uefa per i buu a Rüdiger: «Io non non li ho sentiti, è stato un fulmine a ciel sereno – ha spiegato DiFra –. Rüdiger è stato con noi a scherzare nello spogliatoio prima e dopo la partita. Ero concentrato sulla gara, ma di solito atteggiamenti simili li noto, mi danno fastidio». E invece la Roma di Londra vuol portarsi a Torino solo cose belle.