Senza saperlo, De Rossi era stato buon profeta dopo aver respinto il Feyenoord. “Deve finire il tempo del fatalismo romanista, del Mai Una Gioia”. A quella parola, è scattato Paulo Dybala. La molla del succeso. La Joya che si vorrebbe sempre addosso. Con una tripletta, la prima da quando guida la Roma, Dybala non ha soltanto risolto la pratica Torino ma ha anche alimentato un motore già caldo: questa squadra si è svegliata dal torpore invernale e punta a recuperare il tempo perduto in una stagione che è ancora tutta da vivere, in Italia e in Europa. “Non ci nascondiamo – ha detto lui –, vogliamo arrivare in fondo e lottare per la Champions”.
Con un fuoriclasse al meglio delle proprie potenzialità, niente è impensabile. Sarà per il ritorno momentaneo al 3-5-2, che ne esalta l’anarchia tattica; sarà per una condizione atletica finalmente brillante; sarà per le contingenze della partita e la disponibilità all’inchino del portiere avversario Milinkovis-Savic. Però Dybala a questi livelli si era visto raramente anche durante la gestione Mourinho, lo zio calcistico che lo aveva convinto a scegliere la Roma.
La sensazione è che Dybala abbia superato lo shock dell’addio di Mourinho e che stia cominciando a familiarizzare, a legare con il nuovo allenatore. Così si spiega l’abbraccio a De Rossi dopo il 2-1 di lunedì sera, il tiro improvviso che scaccia i brutti pensieri.
Ma così si spiegano anche i 6 gol segnati in 5 partite di campionato – a Frosinone era rimasto in panchina a riposare – dopo il cambio tecnico. Nella prima parte del torneo, soprattutto a causa degli infortuni, aveva prodotto “solo” 5 reti in 13 partite.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida