Una visita al “Fulvio Bernardini” per una benedizione di rito: l’arcivescovo Rino Fisichella, come svelato ieri mattina da Tele Radio Stereo, è stato a Trigoria per benedire il centro sportivo giallorosso. Il 25 ottobre. Una visita peraltro concordata da mesi, per la precisione dal 22 febbraio scorso, quando il Monsignore aveva presieduto all’inaugurazione della nuova sede della Roma in viale Tolstoj, all’Eur.
Nessuna “riconsacrazione” della cappella: è sconsacrata da anni (già dai tempi della scorsa proprietà) e continua ad avere funzione di magazzino. La benedizione di un luogo (ufficio, scuola o casa che sia) è radicata nella tradizione cattolica e in tal senso va interpretata la presenza di Monsignor Fisichella a Trigoria dieci giorni fa.
Il caso ha voluto però che i ragazzi di Fonseca inanellassero tre vittorie consecutive da quel momento in poi, scatenando una sfilza di ipotesi tra il sacro e il profano, a prescindere da qualsiasi fede religiosa. Certo è evidente che i giallorossi abbiano esorcizzato da soli le loro recenti difficoltà e i loro problemi: la bontà del lavoro di Fonseca e della squadra è evidente. Ma la curiosa concomitanza di eventi si è, giocoforza, notata. Fede giallorossa, fede e basta o chissà cos’altro di sicuro la storia del calcio è piena di episodi “curiosi”, scaramantici, e in bilico fra sacro e profano.
Dall’anti-Mago al Barone La storia giallorossa (e calcistica in generale) è ricca di personaggi scaramantici, le cui gesta sportive sono andate di pari passo con rituali superstiziosi et similia. Lo stesso Oronzo Canà, interpretato da Lino Banfi (a proposito di romanisti) nel film “L’allenatore nel pallone”, era un omaggio dichiarato all’anti-Mago Oronzo Pugliese, con venature che richiamavano il Barone Nils Liedholm, presente nella pellicola con un cameo.
Pugliese era solito portare con sé in panchina una gallina portafortuna e in più di una circostanza fece gettare del sale sul terreno di gioco. Ma la neve, ovviamente, non c’entrava. Il soprannome di “anti-Mago” lo ottenne per l’accesa e lealissima rivalità con Helenio Herrera, all’epoca alla guida della Grande Inter: anche l’argentino, in quanto a superstizione, non era da meno rispetto al collega di Turi.
FONTE: Il Romanista – L. Latini