«Oi Roma, oi Roma mia». L’avrebbero cantato, strafottenti e ubriachi di gioia, se gli avessero aperto il San Paolo. La squadra di Spalletti ce l’ha fatta senza di loro, i tifosi, senza Strootman, Bruno Peres e gli altri infortunati, a un certo punto senza Juan Jesus e Nainggolan. E in quello stadio da oltre un anno – in campionato – non c’e riuscito nessuno a portar via tutto il bottino al Napoli di Sarri. La morale dello straordinario e, per molti ma non tutti, inaspettato trionfo giallorosso di ieri (il primo quest’ anno in trasferta) e che vince sempre (o quasi) chi sa essere più squadra. La Roma di ieri lo è stata dentro e fuori: i gol di Dzeko, le mosse di Spalletti, il sacrificio, certo, ma l’immagine che dà il senso alla giornata è quella corsa zoppicante di Nainggolan per festeggiare il tris di Salah. Tutti uniti, compreso un sorridente Totti. Appena è tornata a giocare come un gruppo vero, la Roma ha battuto in serie Inter e Napoli. Sei punti pesantissimi, che valgono il momentaneo secondo posto in solitaria, col vantaggio conquistato nel doppio scontro diretto. E, soprattutto, «obbligano» la Roma a riattaccarsi addosso l’etichetta di anti-Juve. Ancora a debita distanza, per carità, ma le ultime due giornate dicono che la creatura di Spalletti, per valori e potenzialità, può essere la prima inseguitrice in un campionato apparentemente già scritto.
LEZIONE TATTICA – Qualcuno ha visto Callejon? Può sembrare riduttivo, ma in fondo la chiave del match è tutta qui. L’ha stravinto Spalletti, sempre vincente da romanista al San Paolo, con la seconda lezione di calcio consecutiva impartita al suo dirimpettaio: se De Boer c’era cascato portando tutta l’Inter nella meta campo giallorossa e consegnandosi al contropiede dei velocisti giallorossi, ieri Sarri non è riuscito a innescare il suo asso spagnolo. L’uomo più in forma del campionato, forse appagato dal ritorno in nazionale spagnola, improvvisamente è diventato nullo tranne un sussulto iniziale. E’ la conseguenza di una Roma «camaleonte» che ha spiazzato gli attaccanti del Napoli. La famosa difesa «a tre e mezzo» rispolverata da Spalletti, con Florenzi e Perotti larghi sulla linea dei mediani in fase di possesso ha allargato il campo giallorosso e ristretto lo spazio per lo spagnolo e Insigne: il primo non ha trovato il modo di scavalcare Juan Jesus, diligente nel rispettare i compiti assegnatigli alla vigilia («quando parte Callejon scappa subito all’indietro») , e supportato dai ripiegamenti del generoso Perotti. Dall’altra parte, quando il pallone lo gestivano gli azzurri, Florenzi è scalato a ricomporre la linea a quattro difensiva, pronto a ribaltare l’azione non appena possibile. Una posizione ibrida che ha mandato in tilt i collaudati meccanismi napoletani. E poi quel Fazio ruvido e monumentale in mezzo, che ha cancellato Gabbiadini e gli altri entrati a seguire un po’ a casaccio. Beccati due gol da Dzeko (e potevano essere cinque), Sarri ha provato a copiare il suo «maestro» Spalletti affidandosi all’attacco leggero, con Mertens e poi El Kaddouri centravanti. Ma a parte la capocciata di Koulibaly, il Napoli ha mostrato tanta confusione sul più bello e si è dovuto arrendere al secondo ko consecutivo in campionato. Della serie: lo scudetto è una chimera.
LA RIVINCITA DI EDIN – Il «bidone», se qualcuno se n’è accorto, è capocannoniere. Sette gol in otto partite per Dzeko, decisivo con l’Inter, dominante ieri e fa bene Spalletti a pungolarlo nel post-partita perché già a questo punto del campionato il bosniaco doveva essere in doppia cifra per il numero di occasioni avute. Anzi, create, perché lui c’e sempre e c’era anche l’anno scorso, ma la buttava dentro poco. Grandi meriti da spartirsi con l’instancabile Salah, il redivivo Nainggolan nonostante gli acciacchi e, in generale, con il cuore di tutta la Roma, che ora può tornare a sognare. Almeno per un po’.