Il derby della Capitale parte da lontano…come sempre verrebbe da dire. Addirittura dalle panchine. Ieri anche i due tecnici si sono marcati a distanza con le rispettive conferenze stampa posticipate e anticipate prima dall’uno, poi dall’altro e infine andate in onda quasi all’unisono in una sorta di par condicio capitolina. E tanto per restare tra pre-tattica di routine e preoccupazione reale, anche l’incontro andato in scena venerdì in Campidoglio con Gualtieri accerchiato da Immobile e Oliveira tra sorrisi strette di mano e occhiolini, ha lasciato il suo strascico quando ieri è arrivata la notizia della positività al Covid del primo cittadino.
Ora, le regole sulla quarantena sono cambiate, ma l’apprensione resta eccome. Ma intanto, tra un’automobilista che «sdraia» la targa del povero Dino Viola a Trigoria e miti «profetici» crollati sotto i colpi del condottiero di turno, questo derby numero 158 di campionato è arrivato il momento di giocarlo. Una partita mai come oggi importante per il futuro in Europa delle due squadre della Capitale, relegate ormai nelle retrovie delle piazze che contano e con l’unico obiettivo di andare almeno fuori dai confini nazionali nell’anno calcistico che verrà: qualsiasi competizione essa sia.
Sugli spalti dell’Olimpico il massimo possibile al momento: ossia quel sold out limitato alle restrizioni che impongono un massimo del 75% della capienza ufficiale dell’impianto. Comunque tanta gente circa 37mila romanisti che giocano in casa e 15mila laziali «ospiti». I numeri, per quello che valgono, dicono che i giallorossi non perdono la stracittadina in casa dal 2017, mentre i biancocelesti cercano, dopo il 3-2dell’andata lo scorso 26 settembre, una «doppietta» che non gli riesce dal 2012.
La Lazio parte avanti forte di un punto in classifica in più che però è «giusto giusto» per innescare le solite cabale della vigilia: chi sta davanti non è mai favorito. Ma anche stavolta la classifica non conterà, vincerà solo chi avrà più voglia o chi riuscirà, almeno per questa domenica, a lasciare fuori le tensioni e mettere in campo solo il cuore: o più semplicemente fare la giocata decisiva, basta quella. Perché la ventata di povertà che si è abbattuta sulla stagione di Roma e Lazio ridà lustro a una partita che può cambiare molto se non tutto soprattutto nel rapporto interno con la piazza. Insomma, è triste dirlo, ma il derby della Capitale è tornato a contare solo per il popolo che vive all’interno del Gra e per il botta e risposta sul tabagismo tra due tecnici che restano aggrappati, comunque pure loro, a questa partita… o quasi.
FONTE: Il Tempo – T. Carmellini