Sono passati otto mesi, poco più, da quel 4 maggio che ha cambiato la testa dei tifosi della Roma. L’annuncio di Mourinho, la ripartenza in grande stile. Quel giorno, José ha creduto di poter ricostruire, di organizzare una squadra competitiva, di incidere come ha sempre fatto in carriera. Perché lui è uno così, di alto livello, capace di plasmare un gruppo, un ambiente.
Il percorso era portare una squadra, una società poco avvezze ai successi, al suo livello. Questo concetto è stato ribadito dallo stesso allenatore ai suoi giocatori dopo la partita di San Siro, il 6 gennaio scorso: “Non sono io che devo abbassarmi al vostro livello, siete voi che dovete raggiungere il mio“, questo in sintesi il pensiero espresso dal tecnico portoghese. Otto mesi dopo, poco più, siamo al punto di partenza, al prima di Mourinho.
Forse José è troppo grande per questa Roma. Nel senso: è un allenatore impegnativo, uno che ti costringe sempre a stare sul pezzo, alzando l’asticella, punzecchiando i giocatori e chiedendo rinforzi alla società. Anche se poi è sempre facile limitarsi alle richieste, un po’ meno lo è incidere quando non piovono i soldi dal cielo. L’estate scorsa il mercato è stato di reazione e questo è stato accettato da José, quello attuale sarà fatto da prestiti e da qualche cessione di calciatori poco funzionali.
Decisiva sarà la prossima sessione, quando capiremo cosa la Roma sarà in grado di fare, se potrà accontentare al cento per cento un allenatore, giustamente e per pedigree, così esigente. Mou per ora osserva, cerca di capire, ma probabilmente si è reso conto di aver sovradimensionato il contesto dove stava per venire a lavorare e aspetta risposte dal futuro, che dovrà essere migliore del presente. I giocatori sono meno forti di quello che pensava, hanno meno carattere di quanto si aspettasse e la rosa non è così larga come si chiede a un club impegnato in tre competizioni.
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni