C’è solo Dovbyk. Il resto, in termini di produzione offensiva, è un insieme di inefficienze. Se a Monza, prima della sosta, la Roma aveva creato tante situazioni per segnare e ne aveva concretizzata appena una, ovviamente con Dovbyk, le due partite successive hanno evidenziato un problema diverso: la squadra segna poco perché genera poche situazioni per meritarlo. E così, facendo i conti, in 11 partite stagionali ha infilato solo 10 palloni nelle porte avversarie.
Un raccolto tanto scarso non si ricordava dall’annata 1991/92, con Ottavio Bianchi in panchina e una faticosa transizione societaria tra la famiglia Viola e Giuseppe Ciarrapico. In quel caso, allo stesso punto della stagione, i gol erano appena 9. Parliamo di 33 anni fa, le vittorie valevano due punti e i giocatori indossavano le maglie dall’1 all’11 senza nomi sulle spalle. Un altro secolo, un altro mondo.
La sterilità offensiva pesa in campionato, dove paradossalmente la Roma è prima alla voce tiri tentati (131, 16,3 a partita) ma nei dati relativi alle prime otto giornate aveva il quattordicesimo attacco della Serie A, ed è ancora più preoccupante in Europa League, dove la differenza reti può essere importante per determinare i piazzamenti finali nel maxi girone. Che le squadre di Juric si comportino con parsimonia in area di rigore non è una novità: negli ultimi tre campionati il Torino ha erogato rispettivamente 46, 42 e 36 gol.
Però la Roma si è presentata al via della stagione con altre ambizioni e gioca in modo diverso dallo stile tradizionale di Juric, abituato all’aggressività che sfrutta l’errore degli avversari per ripartire in verticale. Nelle prime sette partite con il nuovo allenatore in panchina, la Roma è sempre stata padrona del possesso palla complessivo. Anche contro l’Inter.
L’unico giocatore che sta rispettando più o meno gli standard realizzativi è appunto il centravanti, Artem Dovbyk, che ha lasciato il marchio cinque volte in cinque partite diverse. Dettaglio in più: ha sempre segnato il gol dell’1-0, quello che sblocca le situazioni e orienta le strategie. Tra le tante scelte/omissioni bizzarre che la società ha effettuato sul mercato, questo investimento è sembrato decisamente azzeccato.
Anche perché Dovbyk, che predilige affondare negli spazi in profondità sfruttando la potenza e la tecnica,non è quasi mai stato messo nelle condizioni ideali per essere decisivo. Contro i connazionali ucraini della Dinamo ha calciato solo su rigore e anche in altre partite si è ritrovato isolato a sbattere contro un muro difensivo. Certi gol, vedi quelli molto belli contro Udinese e Monza, se li è proprio andati a cercare.
Se cinque reti su dieci, la metà esatta, sono arrivate da Dovbyk, sta mancando il contributo di tutti gli altri. Dybala è a quota 1, il rigore che si è procurato contro l’Udinese. Pellegrini è ancora a zero, così come Soulé ed El Shaarawy. Tre gol sono arrivati dalla panchina (Shomurodov, Baldanzi e Pisilli) e uno da un tiro senza pretese deviato (Cristante contro il Venezia). È evidente che molto dipenda dai singoli, che devono migliorare l’efficienza negli ultimi metri.
Certi cross sballati (Celik, Zalewski, Angeliño) sono errori tecnici e stop. Ma è altrettanto chiaro che la Roma, evidentemente studiata dagli avversari, capita spesso a trotterellare a ridosso dell’area di rigore senza sapere come gestire l’ultimo passaggio o il tiro verso la porta. Se giochi a ritmi lenti, senza riuscire ad alzare il ritmo, dai il tempo alle difese di posizionarsi senza affanno. E le possibilità per colpire si restringono.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida