Dall’agosto del 2012 all’agosto del 2020, otto anni tra promesse, cambi di tecnici e allenatori, polemiche, operazioni finanziarie, progetti per lo stadio rallentati dalla burocrazia e nessun titolo. Si chiude l’era di James Pallotta, il presidente americano che aveva fatto sognare, sfiorando il paradiso del calcio europeo con la semifinale Champions nel 2018 ma poi si è eclissato dalla Capitale. E ora ha ceduto a un altro americano, il magnate texano Dan Friedkin.
Un anno fa, in una lettera ai tifosi, il presidente di Boston aveva assicurato che sarebbe rimasto al comando della società (“se qualcuno pensa di farmi scappare, questo non succederà, non andrò da nessuna parte”), che avrebbe passato più tempo in città, che nessuno gli avrebbe impedito di “costruire una Roma grande e vincente”. Paradossalmente, è stato l’inizio della fine, perché non si è più visto nella Capitale ed è partita la trattativa con Friedkin.
In otto anni Pallotta (dall’agosto 2012, dopo breve interregno con Di Benedetto) ha guidato un club in perenne trasformazione, in campo e fuori. A Trigoria si è registrato infatti un via vai di manager, ds, allenatori e giocatori. Unica costante, la presenza-consulenza di Franco Baldini. La sua promessa di rendere grande la Roma è stata mantenuta solo a metà, visto che la squadra non ha comunque messo in bacheca nessun trofeo (“un grande rimpianto” le parole di Pallotta), pur occupando stabilmente le prime posizioni in Serie A e conquistando anche una semifinale di Champions League.
Certo, fuori dal campo la società è cresciuta, si è strutturata seguendo l’esempio dei grandi club europei, ha aumentato il proprio valore. Ma contestualmente sono lievitati anche debiti e costi di gestione, certificati dal passivo da 150 milioni che farà registrare il bilancio chiuso al 30 giugno. Una difficile situazione economica che ha spinto Pallotta ad accelerare la trattativa con Friedkin, chiusa poi nella notte.
Nel progetto di Pallotta è mancato anche il passo finale, quello legato allo stadio di proprietà. L’infinita attesa per il via libera all’impianto di Tor di Valle alla fine ha spazientito i soci con cui ha investito nella Roma, costringendolo a valutare prima e intraprendere poi la strada della cessione.
Per una grande fetta di tifosi, poi, Pallotta resterà sempre il presidente che li ha etichettati come “fucking idiots”, l’americano che ha allontanato da Trigoria i romani e romanisti Totti e De Rossi, il businessman che ha sacrificato sull’altare del bilancio i pezzi pregiati della squadra vendendoli al miglior offerente per realizzare plusvalenze milionarie che hanno via via rimandato l’appuntamento con la vittoria.
FONTE: Il Corriere dello Sport