Non ti annoi con la Roma. Poco, ma sicuro. Se questo è un titolo, si vince a mani basse. L’altro titolo stravinto è quello dei tifosi, fantastici e tanti anche ieri sera. Per il resto, troppe magagne da correggere, altre da cancellare, alcune da estirpare. A integrare l’ormai celebre sfogo di Mourinho: se ti comporti da piccolo gli arbitri ti tratteranno da piccolo ma, se ti comporti da piccolo, sarà anche la sorte a maltrattarti e a farti ancora più piccolo.
La “piccolezza” di questa squadra è nei suoi comportamenti squilibrati, nella sua incapacità di darsi certezze. Giallorossi piccolissimi anche ieri sera, a pochi millimetri dal baratro. La Roma di oggi è il più eclatante manifesto della legge di Murphy: se qualcosa di peggio può accadere nel caso suo accade. Casistica impressionante da inizio campionato. Chi vuole divertirsi o avvelenarsi vada a farsi un safari nell’orrore. Si replica al Mapei Stadium.
Una partita piena di trappole che sembrava indirizzarsi nel verso giusto con l’episodio del rigore alla fi ne del primo tempo. Sembrava. Pronti via, una manciata di secondi, e un micidiale cocktail di errori e sfortune rimette la gente di Mourinho a terra. Prende il secondo gol da polli e solo allora si ricorda che il calcio qualche volta è bava da trincea. Squadra che conosce una varietà infinita di modi per andare al tappeto, autogol inclusi (pareggio del Sassuolo, tra l’altro, orribilmente simile al gol preso pochi giorni prima da Dzeko, Karsdorp fuori posizione e Smalling infilato).
Tra vistosi debiti di organico, infortuni e stravaganze arbitrali questa Roma non ha certezze, e quelle poche nemmeno certissime (vedi Rui Patricio ieri). Cestinata la coppa Italia, resta chimerica la qualificazione Champions e complicata anche l’Europa League. A questo punto di una stagione definitivamente claudicante deve essere definitiva la presa di posizione su come raccontare la storia di Mourinho alla Roma.
Due le possibilità, se ti guardi intorno e il tuo sguardo non va a un palmo dal tuo naso vedi solo mediocrità e malinconie. L’alternativa è immaginare che Josè sia qui, su mandato preciso dei Friedkin, nella posa di un Sansone lungimirante venuto come un’impresa di demolizione (a fatti e parole) per azzerare e ripartire. Azzerare le malefatte che hanno depauperato la Roma da quattro anni in qua, dall’avvento disastroso di Monchi e gli ultimi anni malmostosi di Pallotta. Demolire per poter ripensare una Roma completamente diversa. La mia posizione? Credo (e auspico) nella seconda.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto