Sarà che in assenza del severo sguardo del papà, qualsiasi figlio si sente sempre legittimato a lasciarsi andare. Sarà che l’Olimpico romanista è capace di trasformarti, travolgendo senza pudori giacca, cravatta e mascherina d’ordinanza. Sarà che la Roma quando ti entra dentro, è capace di regalarti quelle emozioni che sono tutto quello che abbiamo. Sarà che stava maturando una vittoria che ci voleva come il pane per ridare slancio a un finale di stagione da vivere con coraggio, altruismo e fantasia. Sarà quello che pare a voi, ma noi, in oltre diciotto mesi da cittadino romano e romanista, un Ryan Friedkin così non l’avevamo mai visto.
Plaudente, soddisfatto, entusiasta, con la mascherina che non riusciva a nascondere il sorriso dei giorni migliori. Eravamo stati abituati, in questi oltre diciotto mesi da proprietari della Roma, non solo al silenzio senza deroghe, ma anche a vedere la famiglia Friedkin (contro l’Atalanta papà Dan era assente, immaginiamo più che giustificato) sempre politicamente corretta, composta, educata, fin troppo seria, mai un gesto fuori posto che potesse far pensare a un lasciarsi andare che pareva non appartenere alla famiglia texana. E invece ci voleva il successo che stava maturando contro l’Atalanta, per scoprire un Ryan fin qui rimasto ingessato nel suo ruolo di vicepresidente e proprietario, quasi che istituzionalmente non gli fosse concesso lasciarsi andare alle emozioni.
Quando è accaduto tutto questo? Correva il trentesimo minuto di un secondo tempo che il mondo romanista stava vivendo con il cuore in gola. L’Atalanta attaccava sempre di più, i minuti sembravano ore, l’ansia romanista si tagliava con il coltello, ma il gol di Abraham continuava a essere (e lo sarebbe rimasto) l’unico nel tabellino della partita.
Mourinho dalla stanza nella pancia dell’Olimpico in cui stava seguendo la partita (tre volte senza lo Special One in panchina, nove punti e lo diciamo, garantiamo, senza nessun velo di critica) aveva recapitato l’ordine alla sua panchina: sostituite Nicolò Zaniolo. L’uomo assist per il gol dell’inglese, preceduto, quel passaggio decisivo, da uno stop, sul pallone lanciato da Karsdorp, che soltanto chi è accompagnato dagli dei del calcio può permettersi.
(…) Quindi fuori il ventidue, dentro Veretout. Zaniolo si è diretto verso la panchina, standing-ovation del tifosi giallorossi, applausi dalla panchina e poi la novità. Le telecamere, proprio mentre Nicolò stava uscendo dal campo, hanno inquadrato Ryan Friedkin. E il vicepresidente stava applaudendo come non lo avevamo mai visto fare per partecipazione, il viso felice come era quello di qualsiasi altro tifoso della nostra Roma.
(…) Ecco, quegli applausi presidenziali, nella nostra capoccia magari pure un po’ malata, hanno fatto rima con la parola contratto. Quel prolungamento e, soprattutto, adeguamento, di cui si sta dibattendo da settimane, nonostante Tiago Pinto non si lasci mai sfuggire un’occasione per ribadire, come è accaduto anche nel prepartita contro l’Atalanta, che ora è troppo presto per parlare di rinnovi e che ci sarà modo e tempo per arrivare a eventuali fumate bianche.
Non vogliamo certo mettere in dubbio le parole del general manager romanista. E’ così, per tutti i giocatori in scadenza se ne riparlerà verso la fine della stagione, si spera a Europa conquistata. Certo però che quell’inedito lasciarsi andare da parte di Ryan Friedikin, a noi è sembrato come un segnale di una società che, fin qui, a livello di cessioni, tutto ha fatto meno che cedere alla tentazione del cash, pur di fronte a un bilancio che di sicuro non è un inno all’opulenza. (…)
Se ne riparlerà a fine stagione, forse pure prima, con la consapevolezza che la società vuole proseguire a stare insieme, così come il ragazzo, così garantisce il suo entourage. Sarà una questione di soldi, perché è sempre così, ma quegli applausi a noi sono sembrati come una prima offerta, il segnale di una Roma che vuole continuare con Zaniolo.
FONTE: Il Romanista