L’involuzione di Tammy. Che, detta così, sembra più un trattato di filosofia che una profonda riflessione sul momento negativo di Abraham. C’era una volta Abrahamcadabra, il mago del gol, il lungagnone che, sorridente, sgraziato e impacciato come un personaggio di Walt Disney, faceva sistematicamente piangere (quasi) tutte le difese avversarie.
Oggi, il mago è sparito. Svanito. Evaporati anche i gol. E non per una magia. Nessuno, però, sa esattamente che cosa sia accaduto. Improbabile che abbia dimenticato come si giochi a pallone escluso che in estate gli abbiano smontato i piedi per poi rimontarglieli al contrario; fuori contesto che ne se sbatta della Roma. E allora? In certi casi, anzi in questi casi si tirano fuori le più disparate teorie per tentare di arrivare ad una risposta credibile.
Mettendo da parte elementi come mancanza di personalità, stato d’animo a livelli di guardia e tenuta atletica precaria va forzatamente tirato in ballo l’aspetto più calcistico della vicenda. E allora se è vero che Abraham non aiuta la Roma (due reti in campionato, il suo misero bottino), è altrettanto palese che la Roma fa poco per aiutare Abraham. L’involuzione di Tammy, dunque, chiama in causa anche la squadra? Quindi il gioco, quindi Mourinho? La riposta appare scontata.
Quando una squadra tira 0 (zero) volte nello specchio della porta avversaria, le cose sono due: o non ha prodotto gioco oppure è stata tradita dai giocatori. Non si scappa, non ci sono vie alternative. La Roma, domenica sera contro il Napoli, non ha fatto un tiro in porta: un dato pesante anche se in netta controtendenza con il recente passato.
Un caso, quindi? Forse, chissà. Ma, ovviamente, si è scatenata la caccia al colpevole, con Abraham come nessun altro sul banco degli imputati. L’inglese ha sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare, ma quanti palloni giocabili gli sono arrivati tra i piedi? Pochi, rari. Questo per dire che il problema non può mai essere spaccato nettamente in due, da una parte chi ha ragione e dall’altra chi ha torto. C’è sempre una compartecipazione, sia nel bene che nel male.
FONTE: La Repubblica – M. Ferretti