Quello che sanno tutti e non vi dicono è che il calcio a giugno e a luglio non ripartirà mai. E non ve lo dicono non perché siano cattivi gestori o pessimi presidenti, anche se ogni tanto qualche pensiero malevolo sullo spessore di certi manager può venire. In realtà non ve lo dicono semplicemente perché ognuno deve recitare il ruolo che il destino, o magari il percorso professionale gli ha riservato.
Quindi c’è il presidente della federazione che non può restare insensibile al grido di dolore dei suoi elettori, e magari anche alle grida più sguaiate di chi minaccia cause ove non venissero soddisfatti i propositi propri o della piazza che in qualche modo rappresenta. Poi c’è il presidente dei presidenti che, a maggior ragione, ha l’impossibile compito di mettere d’accordo posizioni inconciliabili tra loro come quelle di chi, magari già retrocesso, preferirebbe finirla qui e chi, sperando nel successo che gli cambierebbe definitivamente il destino, vuole invece riprendere pur di giocare anche a mezzogiorno di ferragosto.
Ovviamente non può metterli d’accordo, non con poteri che non ha. E allora preferisce passare per l’irriducibile della ripresa ad ogni costo, evitando però dichiarazioni pubbliche finirebbero di sicuro per scontentare qualcuno. Certo, basterebbe riconoscergli dei poteri decisori che oggi non ha, perché ai presidenti fa comodo diversamente.
Le società più serie in questo senso sono quelle con proprietari lontani, tipo Milan e Roma, lontani e per questo abituati a delegare manager che devono portare a casa un risultato, sennò a casa vanno loro. E a loro volta vorrebbero un manager a guidarli in Lega. Finché invece a sedere nelle assemblee sono i proprietari che mai riescono a vedere al di là del proprio orticello, nessun amministratore delegato avrà mai il potere di prendere decisioni per conto loro, stile Commissioner Nba.
Poi c’è il presidente di tutte le federazioni che, peraltro, in quell’assemblea (da commissario) c’è stato e se ne è immediatamente tirato fuori, al punto che è persino naturale che non abbia in simpatia chi guida il calcio oggi. E visto che tutte le altre federazioni si sono fermate, proprio non riesce a capire perché il calcio non lo possa fare. E in più, dalla Lega, gli rimproverano di fare troppa attenzione ai destini dei cosiddetti broadcaster, lasciando intendere (tra le righe dei comunicati) chissà quali conflitti di interesse o di amicizia. Sulla materia, meglio non addentrarsi.
Poi ci sono i medici delle società, che non vogliono che gravi solo su di loro il peso di procotolli sanitari decisamente sofisticati anche perché conoscono assai meglio dei loro presidenti la materia e sanno che il virus è una brutta bestia e finché non è davvero messo all’angolo sarebbe meglio non sfidarlo.
Poi c’è il governo, che da una parte ha a che fare col disastro di una pandemia senza precedenti (e di una gestione dell’emergenza che localmente è stata realmente dannosa) e dall’altra, quasi per vocazione, proprio non riesce a stare dalla parte di imprenditori filosoficamente e politicamente assai lontani. E poi c’è quella parolina magica, “responsabilità”, che spaventa proprio tutti: presidenti, manager, gestori, medici, ministri. Chi, e in nome di chi, dovrebbe decidere qualcosa di impopolare assumendosi il rischio delle conseguenze storiche, sociali, morali e in ultimo ma non per ultimo, legali? Tranquilli, non lo farà nessuno.
Seppure oggi, e anche questo sia detto chiaramente, ci sarebbero pure i margini, anche secondo una parte della comunità scientifica, per ripartire a poco a poco, se non a maggio magari a giugno. Ma il sistema paese non è ancora pronto al via libera per tutti. E al calcio non saranno autorizzate fughe in avanti. Per cui tutte le personalità citate, forse tranne Lotito e Diaconale, sanno che prima di settembre non si potrà ricominciare a giocare. Ma non lo dicono, non lo possono dire. E affermano che invece si può riprendere prima, certo comunque non prima che il Governo avrà dato il via libera. (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco