Non dev’essere facile vestire i panni di Gravina e Dal Pino, rispettivamente presidente della Federcalcio e della Lega calcio, principali garanti di un equilibrio che il movimento sportivo che rappresentano fatica a trovare. Anche ieri di voci fuori dal coro ne sono emerse diverse, tra squadre che preferirebbero giocare solo le competizioni europee evitando quella scocciatura del campionato e altre che continuano a ritenere inapplicabili i protocolli medici peraltro difformi presentati prima dalla Federmedici diretta da Casasco e poi dalla Commissione Medico Scientifica diretta da Zeppilli.
La volontà del governo Ma andiamo con ordine. Era di cinque giorni fa la fantastica trovata di spacciare per unanime la decisione di riprendere a giocare in tempi brevi, nascondendo sotto il tappeto la cenere che covava presso questo e quel club. Loro, i presidenti dissidenti, si sono turati il naso e hanno consentito l’uscita di quel comunicato in cui si rappresentava l’unanimità dell’assemblea, a pochi giorni di distanza da quell’altra in cui si era espresso un altro voto compatto per togliere ai calciatori quattro mesi di stipendio. Comprensibili le logiche: per una decisione, quella sugli stipendi, si metteva per iscritto la volontà di risparmiare quanto più possibile in un momento di grave e oggettiva difficoltà, per l’altra, quella di martedì, si cercava invece di non rinunciare ad un altro incasso, quello dell’ultima rata delle tv. Chiudendo prima, i broadcaster avrebbero lo spunto per non pagare il saldo. Così invece ci si è rimessi alle volontà del governo (e in caso negativo si evocherebbe la causa di forza maggiore, che non esonererebbe le tv dall’obbligo del pagamento). Fuori da ogni ironia, molti club rischiano davvero il default se oltre a questa stagione venissero a mancare anche i presupposti per ripartire nella prossima. Ecco perché si battono per avere comunque un sì dal Governo: e prima arriva meglio sarà.
Non tutti vogliono riprendere il campionato (…)