Non è il sergente Hartman di Full Metal Jacket, ma è abituato a prendere di petto le situazioni. In privato, come dimostrano le accese discussioni degli ultimi mesi con Gervinho, Maicon, Vainqueur e naturalmente Totti, e anche in pubblico, in sala stampa, dove in diverse circostanze ha provato a stimolare i giocatori. Luciano Spalletti non parla mai a vanvera: dice quello che pensa e ancora di più quello che ritiene giusto trasmettere. L’ultima frase critica, domenica sera a Firenze, ha colpito uno dei suoi fedelissimi, che attraversa una preoccupante fase di evoluzione: «Da Salah mi aspetto che due volte riesca a saltare l’uomo…».
LA CARRELLATA – E’ un attestato di stima per quella che considera una risorsa fondamentale per la Roma ma anche l’analisi di un allenatore poco soddisfatto. Salah per Spalletti è «un campioncino» ma deve fare di più. Era già stato pungolato a gennaio sullo stesso argomento, più o meno nei giorni (dopo la sconfitta contro la Juventus) in cui Florenzi finiva nel suo mirino per un comportamento ritenuto non idoneo: «E’ un ragazzo eccezionale e ci può dare aiutare molto. Ogni tanto però si perde con questi atteggiamenti visibili a tutti (protestava vivacemente con l’arbitro, ndr). Non deve. Da lui ci aspettiamo di più». Dopo quella disamina, Florenzi è rimasto fuori per due partite di fila.
IL CAOS – Poi è cominciata la querelle con Totti. Schermaglie indirette, all’inizio, se è vero che Totti nella famosa intervista televisiva raccontò di un rapporto quasi inesistente con l’allenatore, «da buongiorno/ buonasera». Spalletti tirò fuori l’argomento alla vigilia dell’andata di Champions League contro il Real Madrid senza che nessuno gli chiedesse niente. O meglio, un giornalista spagnolo in conferenza stampa gli aveva solo domandato: «Come sta Totti?». Risposta: «Vedremo se sarà della partita. Se devo ragionare sull’esperienza vinco io facilmente, con De Sanctis, Keita, Maicon… Invece ci vogliono corsa, forza e disponibilità a sacrificarsi per il compagno, non solo il gol l’assist. Per me i giocatori non sono tutti uguali: quelli che si allenano sempre con intensità, che corrono più degli altri vengono tenuti maggiormente in considerazione, perché io penso solo al risultato della Roma». Da lì in poi, Totti è diventato un problema da gestire soprattutto sotto il profilo della comunicazione: cacciato dal ritiro il 21 febbraio, ha segnato il primo gol contro l’Atalanta il 17 aprile quasi a tempo scaduto, a cui sono seguiti un confronto negli spogliatoi e un’altra considerazione velenosa dell’allenatore («Non è stato Totti a salvare la Roma. Nelle partite contano altre cose, come corsa e aggressività. Senza Totti abbiamo vinto tante partite, qui abbiamo pareggiato»). Ancora oggi, a distanza di mesi, le scorie di quel periodo si sentono nelle parole di Spalletti, quasi in ogni conferenza.
SVEGLIA – Meno eco mediatica risuonò dopo una frase pronunciata il 12 marzo a proposito di Edin Dzeko, dopo Real Madrid-Roma e prima di Udinese-Roma: «Con gli sguardi e i comportamenti deve farmi vedere che vuole pregarmi per avere una maglia». Come se volesse sottolineare una partecipazione non ottimale del giocatore agli allenamenti. Il resto è storia di questa stagione. Dopo Porto-Roma, l’andata, Spalletti ha tirato in ballo (qui però senza nominarlo Diego Perotti perché aveva mostrato «il musino» dopo la sostituzione: Perotti nel debutto di campionato successivo, contro l’Udinese, è andato in panchina. Ancora più duro è stato Spalletti dopo Roma-Sampdoria: «Chi dice di essere bravo per le offerte che ha, deve anche dimostrarlo sul campo». Riferimento a Manolas, Nainggolan e agli altri pezzi da novanta.