Curato il mal di trasferta con la vittoria di Genova, la Roma inizia il secondo round del campionato a Udine, città cara a Spalletti per il suo passato alla guida dei friulani, con tanto di prima storica qualificazione alla Champions League. Per i giallorossi il pass europeo è il minimo sindacale, gli obiettivi sono più alti e, nonostante l’emergenza scoppiata con le assenze di tre pilastri quali Perotti, De Rossi e Rudiger, con i «fantastici 11» a disposizione non si può sbagliare. «Se non diventiamo una squadra fantastica – avverte il tecnico – possiamo subire delle difficoltà, perciò è bene che i nostri calciatori sappiano di dover fare gli straordinari. Siamo pochi? Diventeremo di più attraverso il lavoro e i sacrifici di chi c’è. Magari Napoli e Juventus hanno qualche giocatore in più, mai rapporti di forza non sono cambiati. Arriverà un periodo duro quando giocheremo 11 partite in 40 giorni, ma avendo una squadra tosta non penso di avere più problemi del dovuto. Abbiamo giocatori forti che ora ragionano nella maniera giusta. Perderemo altre partite, ma sarà dura per chiunque ci troveremo davanti».
Insomma, il difficile non viene ora, non oggi, in una Dacia Arena che dal punto di vista ambientale ha tutt’altro impatto rispetto a Marassi: «Noi queste due trasferte le abbiamo preparate nello stesso modo, so no partite insidiose in cui dobbiamo fare legna, metterci forza, intensità, contrasto, e recuperare palle col gioco sporco. La differenza è che a Genova c’è un ambiente che ti crea difficoltà di espressione, mentre a Udine sarà più facile giocare, così come è più semplice lì evidenziare la personalità dei calciatori, al contrario di ambienti come Roma, Milano o Napoli, dove per forza devi accostare l’essere calciatore con le analisi obiettive sui risultati e le vittorie». Emerson è l’esempio pratico alla teoria di Spalletti: «Qui si fan le cose iniziando dalla fine, si fa giocare Palmieri e gli si dice di essere Candela, ma non può esserlo. Lo diventerà, e ve lo faccio vedere tra qualche tempo, ma c’è bisogno del periodo per analizzare le sue prestazioni in funzione del risultato che dobbiamo avere a livello di squadra. Questo fa la differenza». Nel gioco delle similitudini entrano due allenatori che si sono incrociati 12 volte in carriera, nella più recente Delneri alla guida del Verona pareggiava 1-1 all’Olimpico con Spalletti all’esordio in panchina dopo l’addio di Garcia: «Potevano anche vincere loro… Ci avevano messo in difficoltà, liberi di interpretare il calcio senza timori e rimorsi. Delneri è uno dei grandi del nostro calcio, da lui abbiamo appreso tutti molto. L’ha sempre messa sulla battaglia».
Serviranno armi affilate e scudi resistenti, giocatori pronti a tutto come lo era Pinzi nella sua Udinese: «Io e lui ci si guardava e ci si capiva al volo. Rivedo molto in quella squadra della mia Roma attuale. C’erano uomini veri. Anche qui vedo giocatori che ci mettono qualcosa in più del normale per vincere. Il livello che ti fa stare dentro la Roma deve essere quello di provare a vincere sempre. Se si mette dentro uno che si può concedere un risultato diverso ci facciamo del male». Per la Roma del futuro il dilemma portiere resta aperto: «Se scegliamo Szczesny è perché abbiamo fiducia nella sua grande qualità di trequartista-portiere, ma se poi farà altre scelte sarà sostituito da un altro grande numero uno. Abbiamo ancora bisogno di tutti e due, si ragiona sull’ora, non sul prossimo anno». L’ora è una nuova battaglia: i precedenti a Udine non sono da buttar via, delle ultime sei trasferte la Roma ne ha persa una soltanto.