Quando era disoccupato ha studiato la Fiorentina di Sousa. Lo intrigava l’idea di una squadra che difendeva a «tre e mezzo», che attaccava a «due e mezzo» e che spostava a piacimento alcuni giocatori all’interno del disegno tattico. Obbligando gli avversari a faticosi adeguamenti. Qualche esempio? Quell’Alonso a momenti difensore puro e in altre fasi di gara attaccante a tutto tondo. O Bernardeschi che andava a coprire la corsia di sinistra ma che nelle ripartenze diventava un perfetto trequartista. Luciano Spalletti da Certaldo è ricco e famoso ma non ha mai smesso di studiare. E di cercare idee nuove.
DIFFERENTI – Stasera lui e Paulo si affronteranno in una sfida delicata. I due non sono amici. Troppo diversi per stile e interessi. Uno ama la terra, l’altro è un filosofo. Uno è stato un modesto calciatore; l’altro ha vinto scudetti e Coppe. Ma si stimano. Si rispettano. E stanno vivendo un momento simile. Roma-Fiorentina vale molto per il presente. I giallorossi coltivano ancora un piccolo sogno scudetto e hanno l’obbligo di difendere almeno il posto in Champions; i viola sono aggrappati, a fatica a essere onesti, all’ultimo treno buono per restare in Europa. Una sconfitta potrebbe metterli in difficoltà. Entrambi hanno anche il contratto in scadenza. Il futuro di Sousa è già scritto. Il 30 giugno dichiarerà chiusa la sua avventura alla corte dei Della Valle. Spalletti non ha ancora deciso. A differenza di Paulo potrebbe restare. Il credito che aveva nel momento in cui ha deciso di tornare alla guida della Roma è ancora intatto. Ma è Luciano che vacilla. Il tecnico di Certaldo è orgoglioso. Vuole vincere uno scudetto in Italia prima di tornare a sfidare il mondo. Magari in Premier. Prima di decidere il suo futuro vuole capire se il patron Pallotta ha la forza e la voglia di far crescere questa squadra. Per duellare con la Juve, per non farsi travolgere dal fiume in piena cinese che promette di riportare l’Inter in vetta, per competere con lo scatenato Napoli di De Laurentiis servono buone idee. E tanti soldi. Tanti. Spalletti non ha mai accettato l’idea di una Roma destinata «ad accontentarsi». Lui vuole vincere. La Roma deve vincere. E ieri lo ha ribadito parlando della sua posizione contrattuale: «Se qualcuno dentro lo spogliatoio mi chiede di restare? Non penso interessi molti. I contratti bisogna meritarli con i risultati. Ci sono scadenze e priorità per i ruoli che si hanno, ognuno va a farle valere ma si arriva fino in fondo così. Che risultati servono? Se si arriva secondi e ci sono i presupposti di crescita. Oppure vincere. Vincere vuol dire vincere, vuol dire arrivare primi in qualche competizione. Si arriva in fondo e si tirano le somme». Tradotto dallo spallettiano: la società può avere la fretta che vuole e può legittimamente guardarsi intorno, io aspetto fine stagione.
INCROCI – Quelli con Sousa sono divertenti. Paulo sogna la panchina della Juve. Spalletti è sempre stato un allenatore da Juve. Fin dai tempi in cui era sponsorizzato da Marcello Lippi. E, guarda caso, i nomi che si fanno per l’eventuale sostituto di Luciano (Gasperini in pole poi Di Francesco, Emery e Giampaolo) sono piste buone anche per il dopo Sousa. I tecnici hanno un altro aspetto in comune: sono più manager che allenatori. Paulo ha staccato la spina da Firenze quando ha capito che gli veniva chiesto di fare solo e soltanto l’allenatore. Si è sentito in gabbia. Luciano, invece, si muove a tutto campo. Ma non è detto che questo lo convinca di restare alla Roma.