Un anno fa José Mourinho registrava la prima intervista da allenatore della Roma a Londra e aveva già ben chiaro in mente come la gente fosse letteralmente impazzita per lui. Era una questione d’amore a prescindere, di fiducia, di speranza.
Dopo aver vinto 25 (ora 26) titoli Mourinho cercava altro: l’esonero del Tottenham, con la conseguente decisione di non fargli giocare la finale di coppa conquistata, l’aveva ferito. La chiamata della Roma è stata inattesa, ma soprattutto è stata inattesa la reazione dei tifosi quando è diventato ufficiale il suo ingaggio.
Ecco perché nell’ultimo anno Mou è rimasto uguale in tanti suoi aspetti – le discussioni con gli arbitri, le frecciatine ad avversari e stampa, la voglia di vincere un “titulo” al primo anno -, ma è anche tanto cambiato. Ha provato un’empatia nuova (per usare un termine a lui caro) e, soprattutto, dopo anni, ha ritrovato un gruppo di giocatori che si è affidato a lui in tutto e per tutto. Gente che non metteva in discussione le sue scelte, affidandosi alla sua storia e alla sua esperienza, anche quando, dopo la disfatta di Bodo ad ottobre, sembrava aver perso il controllo dello spogliatoio.
“Siamo una famiglia”, ha amato ripetere spesso nel corso della stagione. E questo ha detto anche qualche giorno fa all’Università di Lisbona: “L’empatia con i calciatori è fondamentale. Siamo in un periodo in cui tutti cercano di trovare la “ricetta perfetta”. alcuni pensano che il segreto sia l’innovazione tattica o fare qualcosa di nuovo negli allenamenti, ma senza empatia non c’è felicità, soprattutto quando non si hanno giocatori incredibili. Il rapporto umano è, e sarà sempre, fondamentale. lo oggi mi sento più umano e meno egoista, invecchiando di più importanza al processo effettuato”.
Sarà davvero così? La sensazione è che Mou, come è nello stile del personaggio, un po’ bluffi e un po’ lo pensi davvero. Però lui che fotografa i suoi compagni di viaggio mentre dormono, lui che mangia la pizza per terra fuori lo spogliatoio, lui che regala le scarpe a Felix; lui che corre sotto la Curva, lui che chiede di mettere l’inno con le squadre in campo e lui che piange a Tirana sono tutte istantanee che confermano quanto espresso a parole.
Forse è davvero arrivato il tempo di un nuovo Mourinho più umano. O forse, semplicemente, José era questo già da un po’. Ma il Tottenham non gli hanno dato tempo di esprimerlo fino in fondo, a Roma invece il padrone del tempo è lui.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – C. Zucchelli
PAROLA DI EX Capello: “La Roma ha vinto una coppa internazionale, europea”