L’abbraccio collettivo in campo, quando Roger Ibanez ha ribaltato il risultato nello stadio olandese dedicato a Cruyff, è sembrato un segno. Se in campionato un gol può sfilacciare la Roma, in Europa ogni giocatore pare voler tirare fuori di più non solo da sé, ma anche dal compagno. Basti vedere Pau Lopez, che para il rigore e ringrazia qualcuno, dalle parti della panchina, forse il collega Mirante.
Quasi stonavano allora, alla fine, le parole ruggenti dell’allenatore. Ma probabilmente Paulo Fonseca una battaglia personale. Il vero nemico di Fonseca è il silenzio. Quello che accoglie vittorie e sconfitte senza troppe distinzioni, illazioni sul suo futuro e candidature più o meno spontanee a prenderne il posto.
L’unica mano gliel’ha tesa il general manager Tiago Pinto. Ma non era una mano convinta, più un modo per prendere tempo, quando ha detto che “il futuro può attendere, conta solo il presente”. Nessuno ha mai mosso un muscolo per rassicurarlo sul futuro. Nessuno ha speso una parola per aprire una discussione sul rinnovo del contratto in scadenza a giugno. E Fonseca indubbiamente ne risente, nell’umore, funesto anche il gol del 2-1.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci