Cosa ci vuole per dare un senso a una partita giocata contro una squadra mediocre, in un Olimpico con 13mila presenti, uno stadio silenzioso, surreale sia dentro che fuori, dove un animatore del presunto «villaggio» parla con un microfono in un piazzale deserto? La magia di Totti, ovviamente. È il capitano a ribellarsi per primo e con più forza degli altri alla malinconia di una serata che presto uscirà fuori dalla memoria di tutti, ma magari servirà a Spalletti per risollevare il morale di un gruppo che ha quantomeno riscoperto il piacere del gioco. L’interruttore è sempre lui, il quarantenne con il numero 10 che non molla. Un punizione-assist a Strootman, un’altra formato missile che si trasforma nel gol da «comiche» di Fazio, uno «scavetto» per il poker di Salah, un tacco illuminante e anche un fallo molto duro che poteva costagli l’espulsione ma che gli serve a sentirsi ancora vivo.
La Roma si appoggia alla sua unica certezza eterna, ormai oltre ogni immaginazione, e si libera in scioltezza dell’Astra Giurgiu, agganciando in testa al girone di Europa League l’Austria Vienna. Ci vogliono i colpi di Totti per alzare il volume minimo dell’Olimpico, che permette di ascoltare persino le urla della trentina di persone sedute nel settore ospiti, i cui biglietti, per strani meccanismi dell’Uefa, sono stati negati alla folta colonia rumena della Capitale. Insomma, la Roma è sempre lì sospesa tra l’ammirazione per un campione infinito, che non scherza quando dice di essersi messo in testa di vincere la coppa, e in qualche misura prigioniera della sua classe. Perché un giorno, Spalletti spera più tardi che mai, dovrà farne a meno. Intanto il popolo giallorosso se lo gode, gli canta «tanti auguri» dagli spalti e chissene frega delle stilettate di Ilary. Giocate e non «giochini», il capitano ha eseguito alla lettera le indicazioni del «piccolo uomo» (copyright Blasi) seduto in panchina.
Nel 4-2-3-1 stavolta è Salah il centravanti col compito di attaccare gli spazi, con Perotti tenuto a sinistra, dove fatica di più a sprigionare il suo talento ma riesce comunque a propiziare il goffo autogol di Fabricio, e dall’altra parte il solito Iturbe a lottare soprattutto contro se stesso. Ci ha provato di nuovo Manuel, nel primo tempo non ne ha azzeccata una, nella ripresa stava per trovare quel gol che servirebbe come a nessuno per ritrovare un briciolo di fiducia. Ma pure stavolta niente, nonostante gli incoraggiamenti del pubblico intenerito dal suo impegno.
In una Roma dall’anima argentina, la difesa ha concesso la prima occasione della partita all’Astra Giurgiu, con Nicoara che si infila facilmente nell’area romanista e si vede fermato con tre interventi in serie da Alisson: il brasiliano sta sfruttando l’Europa League per non perdere terreno nella sana competizione con Szczesny. Juan Jesus si è ripreso il posto a sinistra e dopo l’errore di posizionamento iniziale ha tirato fuori un po’ di coraggio, mentre Bruno Peres, tornando a destra, si è sentito di nuovo a casa.
Dalla serata europea esce decisamente meglio la Roma rispetto all’Inter, prossima avversaria all’Olimpico in una sorta di spareggio anticipato per guadagnarsi il ruolo di terza forza del campionato. In ottica di una sfida già cruciale Spalletti ha voluto concedere una mezz’ora abbondante di ricarica sul campo a Nainggolan, poi ha chiesto a Florenzi di far rifiatare Bruno Peres e ha buttato dentro Gerson, che deve ancora sudare parecchio prima di guadagnarsi la fiducia dell’allenatore. Finisce 4-0 ed è solo la quarta vittoria in Europa dal 2011. Non serve altro per capire quanto sia ancora lunga la strada per la gloria.