La luce dello spogliatoio è calda come una carezza. Seduto su una panca, con addosso la nuova maglia della Nike creata proprio per il derby che incombe, Francesco Totti pare davvero un gladiatore a fine combattimento. Foto e filmati sono terminati. Restiamo soli; e sembriamo all’improvviso essere al centro di una Roma da raccontare. La sua.
Francesco, la Stracittadina alle porte ricolloca Roma sulla scena. Parliamo della città stessa, non solo del calcio. Perciò ci guidi in questo tour virtuale, cominciando dalla cartolina più classica: il Colosseo. Che cosa rappresenta per lei e cosa le fa venire in mente?
“Pensi che il Colosseo per la prima volta l’ho visitato solo nel 2011, a 35 anni. Incredibile, vero? Ero lì con Russel Crowe, il “Gladiatore” del film, ma è stato bello. Ero con mia moglie e i miei figli, ed è stato emozionante. Credo davvero che sia il simbolo della città”.
Che cosa rappresentano per lei i gladiatori? Quelli della storia e quelli che sbarcano il lunario davanti ai monumenti facendosi le foto con i turisti. “Be’, sono due cose un po’ diverse… I primi raffigurano un po’ Roma agli occhi del mondo, i secondi però rappresentano la simpatia del romano, il cercare di sfangarla, di trovare lavoro. Anche perché gli stranieri quando vedono uno con l’elmo ci si fanno subito la foto. Può essere anche una cosa simpatica, sempre nei limiti della legalità”.
E la Cupola di San Pietro? “Un altro simbolo. Nella basilica ci sarò stato 7-8 volte, non di più. La prima da bambino. Ho ancora una foto in cui Giovanni Paolo II mi baciava in fronte”.
E da quel momento ha cominciato a giocare bene… “Be’, quella benedizione sarà stata un segno del destino. Fu un omento toccante, anche se il significato vero l’ho capito man mano che crescevo. Quando l’ho vissuto non pensavo fosse così importante”.
E che ne pensa di Papa Francesco? “C’è un gran feeling. Visto che si è chiamato come me, quando è stato eletto può immaginare le battute che ci sono state qui a Roma. Quando lo incontri, però, ti trasmette davvero gioia di vivere. E poi non è facile trovare un Papa che sia così appassionato di pallone. Conosce tutto. L’ultima volta, prima dell’amichevole del San Lorenzo, i calciatori li conosceva, sia gli argentini sia i nostri”.
Un’altra cosa tipica di Roma è il traffico. “Purtroppo è normale. Con 6 milioni di persone che ogni giorno si riversano in città non puoi girare tranquillo, a meno che non lo fai di notte. Anche se negli ultimi vent’anni in centro ci sono andato poco, mi è capitato tante volte di rimanere bloccato, soprattutto sul Lungotevere e sulla Colombo. Il problema è che poi mi riconoscono, basta solo che vedano l’automobile. E quindi mi chiedono subito autografi, foto… Ormai co’ ‘sto telefonino è un disastro”.
Roma è rappresentata anche dai palazzi del potere, la politica. Quando l’hanno avvicinata per averla tra le loro file? “Guardi, sono ambienti che non frequento. Non mi piace farlo, però è vero che hanno cercato di contattarmi perché mi schierassi, ma non l’ho fatto perché sono proprio fuori da tutto. Al Quirinale però sono andato: quando abbiamo vinto il Mondiale, non proprio la coppetta di un torneo sulla sabbia…”.
E se le nominiamo il Campidoglio? “Con la sindaca Raggi nessun contatto, quindi penso al matrimonio. Mi sono sposato proprio lì a fianco, all’Ara Coeli. Un giorno bellissimo, ogni volta che passo lì davanti dico ai miei figli: “Lì si è sposato papà”. Se penso che tutta la cerimonia è andata in diretta tv… Da bambino invece al Campidoglio non ci sono mai stato, la statua del Marco Aurelio da vicino non l’ho vista finché non sono diventato adulto, ma tutte quelle scale a fianco posso dire per esperienza che sono pericolose”.
Cioè? “Le racconto questa. Il giorno del matrimonio entriamo in chiesa e c’era un sole bellissimo. Durante la cerimonia sentiamo invece tuoni e pioggia battente. Io e Ilary ci simo guardati e abbiamo detto: “Proprio adesso doveva succedere?”. Usciamo, e invece c’era di nuovo un sole bellissimo. Si avvicina un mio amico e mi dice: “Occhio, avete tutti e due le scarpe nuove, state attenti quando scendete che si scivola”. Non faccio in tempo a mettere il primo piede che sento un botto gigantesco: era lui, che era caduto per le scale. E’ stato tutta la giornata con il ghiaccio sulla schiena. La scena c’è anche sul filmino del matrimonio. Da lacrime agli occhi per le risate”.
Adesso però si commuova un po’ e pensi all’Olimpico… “La mia seconda casa. Mi piace la parola: Olimpico. Ci sono cresciuto. E’ da 25 anni che mi tengono prigioniero qui dentro, ma è affascinante. La partita non si vede tanto bene, però un po’ mi dispiace pensare che un giorno non si giocherà più qui – Nazionale a parte – quando Roma e Lazio avranno stadi di proprietà”.
Ecco, che le piaccia o meno, Roma significa anche Lazio… “Ho tanti amici laziali. Roma laziale ha le sue idee, i suoi modi di fare. Io la vedo diversa perché tifo “diverso”. Sono romani allo stesso modo. Ognuno è libero di scegliere la propria squadra del cuore: poi c’è chi è più sfortunato e chi meno… Gli sfottò ci stanno ed è giusto, ovvio, l’importante è che non siano offensivi. Prima però era diverso, era peggio, ma era pure più bello. Era tutto più vero, si faceva quello che ci si sentiva di fare. Se dovevano prenderti in giro davanti a tutti lo facevano, anche con me. C’era il momento che gli rispondevi, oppure che facevi finta di niente. Ma era diverso il calcio, adesso è cambiato tutto, magari ti insultano sui social”.
Mai capitato qualche brutto episodio? “Si, una volta stavo in un parco con mio figlio Cristian e ho incontrato uno che a cominciato a dirmi parolacce e ad urlare: “Magari mori”. Era un c****one che è andato oltre. Una volta, due, poi non ci ho visto più. M’hanno dovuto fermare, sennò l’avrei ammazzato a mozzichi…”.
A proposito di divisione, qui in città ci sono tante battute su una presunta differenza antropologica tra chi abita a Roma Nord e chi vive a Roma Sud: lei l’ha mai percepita? “Io sui social non ci vado, ma un po’ è sempre stato così. I primi sono i figli di papà: c’è il soldo, la macchinetta, l’orologio. Si sentono differenti dagli altri, come se loro fossero lavoratori e gli altri no. Un po’ come Roma e Milano: noi non facciamo un c***o e Milan lavora…”.
Sembra una cosa all’Alberto Sordi, un altro simbolo della sua città. L’ha mai conosciuto? “No, mai, purtroppo. Avrei tanto voluto. Dopo che è morto sono andato a visitare la sua casa. Grande, con tutti mobili antichi, un po’ fredda…”
Un’altra cosa che rappresenta Roma è Cinecittà che lei – grazie al Grande Fratello – ormai conosce bene. “Be’, è stata la patria del cinema: è davvero una città dentro. Bellissima. Solo chi ci è entrato capisce l’importanza che ha. Ora c’è il Grande Fratello, Ilary è stata bravissima, per me la confermano. Il prossimo anno faranno a botte per entrare nella casa. Io ci andrei, mi diverto, poi alla fine quando mi stufo esco, ma mia moglie non vuole che lo faccia”.
Ilary sulla Gazzetta l’ha difesa a muso duro anche contro Spalletti. Al di là del merito, è orgoglioso di lei? “Si, molto. Certo, stavo in mezzo, ma ognuno è libero di dire ciò che vuole e lei l’ha fatto. Ilary è un punto di riferimento nella mia vita. Mi ha dato l’opportunità di avere la famiglia che ho sempre desiderato. E’ una persona veramente bella, sotto tutti i punti di vista”.
I titoli di coda li lasciamo sul calcio. Ora si sta tutto globalizzando: lei cosa ne pensa della perdità di quella romanità che per tanto tempo ha caratterizzato la squadra? “Ad alcuni un po’ dispiace, ad altri meno, perché dicono che coi romani in squadra non si vince. Io dal di fuori preferisco avere romani che tengono alla maglia piuttosto di tanti stranieri che sono di passaggio, però questa è una mia idea”.
Francesco, sulla carta questo è il suo penultimo derby… “Sono a disposizione, così come con Milan e Juve che ci aspettano dopo. I derby di una volta erano più divertenti. Si arrivava prima per mettere gli striscioni con gli sfottò. Da quello che leggo, non torneranno neppure le curve, anche se io spero che le levino ‘stebarriere: devono trovare un’altra soluzione. Comunque, se dipendesse da me, contro la Lazio almeno un po’ mi farei giocare, ma non decido io. Quello che è importante è vincere, con o senza di me. E poi chi ha detto che siano gli ultimi derby? Non cambio idea: se sto bene, potrei continuare a giocare. E non sto affatto scherzando”.