Quattrocento volte insieme. De Rossi e la Roma, lui arteria e lei cuore: indivisibili. Nei numeri, e oltre, si legge la storia d’amore di un leader nato e di una squadra sposata a prescindere dai forti richiami stranieri, dalle leggi del mercato e da una fascia al braccio. De Rossi è la continuazione naturale di Totti, 400 in campionato stasera il primo, sempre che Spalletti non gli neghi questo traguardo nella sfida contro il Pescara,607 il secondo, ma entrambi sulla stessa strada. Da quell’estate del ’96 a Nettuno, nel campus di Bruno Conti, fino ad oggi il biondo di Ostia è cresciuto nei panni giallorossi, restando sempre un ragazzino con la passione per il calcio. Tra una vena esplosa di rabbia e quei tanti cartellini che un po’ gli pesano sul groppone della carriera, il numero 16 si è fatto ricordare e si farà ricordare ancora a lungo da queste parti. Mancano sette mesi alla scadenza del prezzolato contratto, che di critiche gliene ha portate tante, ma all’orizzonte c’è un rinnovo solo da firmare, non in nome dei ricordi ma di gambe ancora agili e artigli pronti a graffiare gli avversari.
Diga davanti alla difesa, è sempre pronto a fare un passo indietro quando i centrali vanno in infermeria o non danno troppe certezze a chi di turno è in panchina: un ruolo che nel futuro prossimo potrebbe diventare non il vestito della festa ma quello di ogni domenica, perché l’età avanza anche per De Rossi e fare meno metri fa risparmiare fiato per essere decisivi dove serve. Altre 50 o 100 volte ancora, magari. Alle 399 gare di campionato si aggiungono le 53 presenze in Coppa Italia, 49 in Champions League e 18 in Europa League (qualificazioni comprese), 13 in Coppa Uefa e 4 in Supercoppa, per un totale di 536. Il tutto condito da ben 55 gol, di cui 37 nel campionato italiano. E non è finita qui. In questa stagione è stato titolare 11 volte su 13 in Serie A, di cui 9 per tutti i 90 minuti e in 7 occasioni è stato pure capitano. Presente. È servito un suo intervento – da chi di lacune di personalità non soffre affatto – per restituire a Dzekodignità davanti ai tifosi giallorossi: quel dito ad indicare il numero sulla maglia, il vero 9 che la Roma cercava da anni, come a difenderlo e ad elevarlo allo stesso tempo. L’ha fatto sentire a casa sua, a casa di De Rossi e della romanità tutta. Un gesto da capitano.
A lanciare Daniele, si sa, era stato Fabio Capello, che l’aveva voluto in panchina già nell’anno del terzo scudetto, assaggiato più che assaporato davvero, come sogna da una vita di poter fare, vincendo da protagonista. Ma per lui non è mai stato un peso insostenibile: «Si può essere grandi anche senza vincere qualcosa. Legarmi a vita alla Roma è il desiderio che ho fin da bambino». Questa parte l’ha realizzata e continuerà a farlo, America permettendo. Sono 400 emozioni oggi, il domani ne prevede altre ancora: Daniele, to be continued…