È stato difficile riuscire a scrivere. Quando la Roma ti fa felice così balli non scrivi, t’abbracci qualcuno non scrivi, te metti a non fa’ niente non scrivi… Mourinho alla Roma è uno spettacolo di arte varia che ti mette in uno stato d’ebbrezza adolescenziale, anzi infantile, l’arrivo vero della Primavera – di quelle che profumavano veramente da ragazzino e che veramente arrivavano con le rondini – insieme al primo Goldrake regalato a Natale e un buono più o meno infinito di meme da mandare a go-go a chiunque.
Ma che voi scrive’? Passi il tempo ad aprire i siti della Gazzetta, di Marca, della BBC, de L’Equipe, di Sky Marte per vedere che tutti aprono su Mourinho alla Roma, che parlano sulla Roma. Su di te. Su di noi. Nemmeno una nuvola no. È bello citare pure Pupo oggi, anche se c’hanno appena dato un biglietto da 7 milioni più bonus l’anno per un concerto dove i Led Zeppellin e i Pink Floyd sono i gruppi spalla (quello principale sceglietelo voi, a me va sinceramente bene pure Pupo stasera).
E poi pensieri che non puoi scrivere. Oh sì, che dolce sorriso affiora. Non si tratta di filosofia, magari – citando sempre il professor Heidegger – sull’impossibilità di rendere l’essenza del linguaggio con il linguaggio, ma proprio il pensiero stupendo del tuo rivale sportivo in questo momento che sta rosicando. Il pensiero stupendo degli altri (legenda: altri =non romanisti) gli stessi che ancora stavano gongolandosi dell’Old Trafford dopo aver comunque scampato il pericolo di una Roma in finale (non dimentichiamo sempre chi è il protagonista e chi lo spettatore). E che ora, et voilà, con un colpo solo, sono cortocircuitati, spettatori (ancora) loro dell’enorme spettacolo di arte varia che è sempre la Roma.
Il pensiero stupendo immaginando le sue conferenze, le sue massime così insopportabili quando ce l’avevi contro e che invece per te adesso saranno inni, trattati da introiettare nel romanismo, esagerazioni, iperboli da tatuarti nell’animo, una scarica di adrenalina che mica passa. Il gesto delle orecchie, i “porqué?”, le manette, la “prostituzione intellettuale”, il rumore del nemico, le corse con l’indice verso il settore, tutta una comunicazione a difesa della tua squadra. Sogno corsi universitari del professor José Mourinho, non di Heidegger, e suoi trattati sul nome di Roma. Magari alla vigilia del derby. Mamma mia. Mamma mia.
È ancora difficile scrivere, si è ancora tecnicamente, come dire, sotto botta: di Roma. Una schicchera. Poi all’improvviso così senza dire niente, quando tutti quelli che hanno sempre detto tutto dicevano altro. Quando stavi per forza familiarizzando con la rassegnazione del periodo, con il grigio, grigio, grigio momento di questi giorni dopo l’Inghilterra. Mourinho è il monolite di 2001 di Odissea dello Spazio che apre un orizzonte nel 2021. Il film di Kubrick mai fatto. Eyes wide shut, occhi ben aperti su quell’annuncio della Roma che pare incredibile ancora adesso. Quello che non pensavamo di poter vedere.
C’hanno svegliato col sole ieri pomeriggio, con lo shining e c’hanno detto che “guardate che è passata”, e tu: “ma davvero?”. Sì, siamo oltre. Il pomeriggio del 4 maggio ha l’oro in bocca. Mourinho alla Roma ha tanti tanti significati, tutti importanti: è un segnale, una scelta di personalità enorme della proprietà, una dichiarazione di intenti, di programma, di comunicazione, di leadership, di atteggiamento in campo e fuori. È uno zittire tutti i brusii che erano montati, è la risposta a chi chiedeva – anche comprensibilmente – una parola, e invece è arrivato non un discorso ma un atto storico. Parafrasando Moretti e il suo “dì qualcosa di sinistra!” rivolto a D’Alema, qui è come se avessero risposto suonando l’Internazionale. O quello che vi pare.
Mourinho alla Roma è una bandiera messa sul balcone. Quel secondo tempo dell’Old Trafford ci aveva fatto male. Fa ancora male. Il solo ricordo del 2-1 a fine tempo insopportabile, perché la felicità perduta fa più male rispetto a quella non conosciuta. Feriti nell’orgoglio. Con tutto il mondo superficiale attorno che ti ricordava (col ghignetto di chi non sa minimamente cosa va a toccare) le sconfitte, i gol presi, pure da qualcuno che si dice della Roma ma a cui evidentemente viene troppo facile non averne cura e premura.
Per me la Roma è paragonabile all’amore filiale: tuo figlio lo puoi o devi anche punire (come ultimissima opzione), redarguire, mettere in guardia, non esaltare facilmente e quello che volete secondo il protocollo della giusta misura, ma mai, mai, mai, sbeffeggiare. MAI. Questa mossa è perfetta perché è andata assolutamente, puntualmente, persino chirurgicamente a intervenire proprio lì su quel punto profondissimo di orgoglio ferito che faceva malissimo. È come un sondino nell’anima.
È la mossa che spariglia, che cambia i corsi, la sensazione che abbiamo tutti è come quella dell’arrivo di Bastistuta. La felicità del momento, al di là di quello che sarà. Avevamo chiesto: “Dateci futuro”, e ce lo hanno dato; gli avevamo chiesto che non fosse da buttare lì, ma di considerare per costruirlo anche, se non soprattutto, quel dolore di Manchester, e loro hanno messo una bandiera sul balcone dopo un 2-6. Hanno avuto cura dei romanisti. Non ci hanno ridato dignità e orgoglio perché i romanisti certe caratteristiche non le perdono, anzi, ma hanno avuto cura della nostra dignità e del nostro orgoglio. Questo è. Ed è tanto. Persino più di quel che sarà.
Forse Mourinho non è “tatticamente” il miglior allenatore del mondo, ma adesso Mourinho era l’unica risposta da dare ai romanisti che avevano quasi smesso di immaginare … “pensa se un giorno uno come Mourinho allenasse la Roma”. Sembra fatto apposta per noi. La spocchia. La faccia impunita. Gli occhi vispi. Il profilo da paraculo. La propensione ad andare contro ma anche un’umanità che non riesce a venir nascosta da tutto questo.
Forse non è nemmeno importante se vinceremo o no. Noi campiamo per questi momenti, l’emozione è l’ossigeno di un romanista: ieri a una città è tornato il sorriso. È la nemesi del suo stesso anatema: zero tituli. Qui, oggi l’uomo delle vittorie è soprattutto l’uomo del sogno. C’è un’immagine di un bambino in braccio al padre che stende la sciarpa verso il pullman della Roma in partenza per Manchester, poi inconsolabile dopo la partita. È come se la Roma si fosse ricordata di questo, e avesse preso in braccio pure il papà. Non sai quanto pesavano quelle lacrime.
FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci