Con Fonseca era una Roma soprattutto spagnola, con il marchio iberico ben impresso a fuoco per la presenza dei vari Pedro, Pau Lopez, Villar, Mayoral e Perez. Tutti lentamente evaporati, tutti ufficialmente finiti altrove. La Roma di Mourinho è invece una squadra da Premier, con una scia smaccatamente british, formatasi e cresciuta nel campionato più bello del mondo.
Lì sono nati alcuni suoi giocatori come Smalling e Abraham, ma lì si sono affermati anche altri del livello di Wijnaldum, Matic e Rui Patricio. Anche in questo caso cinque giocatori, come gli spagnoli di Fonseca appunto, ma con una qualità e un’esperienza neanche lontanamente paragonabili tra i due gruppi. Il tutto, appunto, sotto la sapiente mano dello stesso Mou, che nella Premier ha lasciato un segno con ben 551 partite e undici titoli complessivi.
C’è un perché che giustifica la scelta di Mourinho ed è legato al fatto che la Premier è il campionato più allenante, più formativo, ma anche quello dove giocano i calciatori tendenzialmente più forti in assoluto. È una questione di potenzialità economiche e di organizzazione, ma anche di attrazione fatale, quella che suscitava ad esempio la Serie A alla fine degli anni Novanta, all’epoca delle famose “sette sorelle”.
Gente che ha un cumulo di esperienza e di titoli vinti talmente alta che permette appunto alla Roma di aumentare il cabotaggio delle sue aspirazioni. Insomma, di alzare l’asticella. Che poi è quello che va cercando l’allenatore della Roma.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. Pugliese
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