E’ venuto, ha visto (poco), non ha vinto nulla e ora deve vendere. L’esonero più atteso è quello di James Pallotta. Non dai media cattivi, ma dalla gente di Roma che riempie bacheche, striscioni, radio con la preghiera di un’unica cessione: quella del club. Il 3° ko di fila a Napoli ha risposto il mirino su Fonseca che potrebbe saltare prima della fine di luglio, ma i veri problemi sono sopra la testa del portoghese. Perché Paulo – che di colpe ne ha – paga pure quelle non sue. Come accaduto prima a Garcia o Di Francesco.
Perché la crocifissione dell’allenatore scelto e idolatrato qualche mese prima è un esercizio troppo facile soprattutto quando si ritrova solo e confuso. Senza un ds (sospeso), senza un presidente sul campo, senza quei leader romani tanto demonizzati e con una squadra con la testa altrove. La costante di questi 9 anni di mancati trofei e addii dolorosi è legato alla coppia Pallotta-Baldini.
Il presidente era arrivato a Roma con la retorica del sogno americano e dell’illusione di far diventare il club giallorosso uno dei più importanti d’Europa. Il consulente, che nella capitale non compare dal 2017, ha scelto Fonseca ma ora vorrebbe cambiarlo continuando a essere il deus ex machina di progetti mutevoli come il tempo di Londra a maggio. Oggi è tempo di tirare un bilancio.
La Roma ha perso soldi, tifosi, partite, bandiere e prestigio se si esclude la semifinale col Liverpool. Il rischio, se non si dovesse cedere il club, è quello del ridimensionamento drastico. Pallotta è stanco, ma ha chiuso la porta in faccia a Friedkin che avrebbe coperto i debiti e regalato una nuova alba alla città. Oggi su spinta dei soci è alla ricerca di nuovi investitori da trovare entro fine agosto.
Ma, per ora, con poca fortuna. Serve ripianare il debito, ma serve anche la voglia di rimetterci qualche soldo e l’utopia stadio per salvare la Roma. Ai tifosi più che la sconfitta col Napoli hanno dato fastidio le parole di Fienga: “Il progetto resta ambizioso”. Salvo poi non escludere le partenze di Zaniolo o Dzeko. In quel resta c’è tutto lo scoramento della piazza. Perché come scriveva Tolstoj l’ambizione s’accorda con l’orgoglio e l’astuzia. E non sembra astuto cedere sempre i pezzi migliori. Ora l’unica ambizione è sperare in una presidenza migliore. Al più presto.
FONTE: Leggo – F. Balzani