C’è stato un periodo, ormai tanto tempo fa, prima delle barriere, delle foto all’ingresso e dei parcheggi a quattro chilometri che andare lo stadio era un sacco bello. Poi, Carlo Verdone, cosa è successo?
«È diventato faticoso. Non posso subire lo stesso controllo quando entro in America e all’Olimpico: vuol dire che qualcosa che non va. Quello che era gioia, vedere la Roma con gli altri tifosi, è diventato complicato. Pensi per le famiglie con più figli, o per gli anziani che hanno da una vita lo stesso posto quanto sia stancante».
Perché sempre Roma come punto di partenza? «Non credo ci sia accanimento nei confronti della città. E capisco il momento storico che viviamo e che pone la sicurezza di tutti al di sopra di ogni altra cosa. Qualche dubbio, però, ce l’ho. Stanno lentamente uccidendo lo sport dal vivo, le emozioni della gente: ora, in tanti decideranno di non andare più allo stadio e mettersi in poltrona. Anche me passa la voglia».
Si riferisce anche alle barriere? «Giocatori che conosco mi hanno confessato che vivono male la curva vuota. Manca il motore che accende lo stadio, quello dell’incitamento. Le istituzioni dovrebbero dare fiducia ai tifosi. Anche l’immagine che trasmettiamo in televisione è tremenda. Lo stadio mezzo vuoto è squallido».