«È rotto! È rotto!», le prime parole di Nicolò al telefono con i suoi, quel lunedì sera di Amsterdam. E dopo il padre e la madre, la chiamata dell’agente, Claudio Vigorelli. «Lo stesso dolore della volta scorsa, identico». Una fitta subdola: non acuta, ma inconfondibile. «Cosa ho pensato? Sul momento non ho avuto nemmeno il tempo di pensare a qualcosa di preciso. Solo più tardi: nooo, di nuovo, ho appena finito di soffrire e mi tocca ricominciare daccapo».
La mattina seguente, il giorno della consapevolezza, della certezza definitiva: una sentenza attesa, perché il ginocchio tradisce, ma non illude. Le solite, calde parole di chi gli è sempre stato vicino, e una telefonata dietro l’altra, un messaggio a più voci che non si è ancora interrotto, la necessità di staccare il telefono. Ghiaccio e riposo, riposo e ghiaccio. In serata la visita di Guido Fienga, l’amministratore, le rassicurazioni della società. Tutto come la volta scorsa eppure tutto così diverso. (…)
«Sì, so già tutto – mi dice – e quindi so che sarà dura, ma nello stesso tempo voglio credere che si tratti di un’esperienza formativa. Sto già facendo il conto alla rovescia. Continuo a ricevere messaggi, mi fanno piacere, mi stimolano, non rispondo a tutti perché sarebbe impossibile. Queste cose nel nostro lavoro possono accadere, io voglio solo tornare a fare in fretta quello che amo. Non ho mai pensato di smettere, neppure nell’istante in cui ho capito cosa mi era capitato di nuovo. Mi faccio forza, ma non riesco sempre a trattenere il malumore”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni