Nevjerovatan urlava Sarajevo, quando Edin era cieco e non Dzeko. Incredibile, urlava l’Olimpico, quella sera di febbraio in cui un grande centravanti sembrò solo un centravanti grande, di stazza e non di tutto il resto. C’era il Palermo di passaggio quella sera di 245 giorni fa: l’errore a porta vuota del bosniaco divenne un video virale sui social e il principio di un mondo di cattiverie, con fotomontaggi a corredo in cui Dzeko veniva dipinto – nel migliore dei casi – come un non vedente. Pareva l’inizio della fine, perché poi chi se lo ricorda che quella sera il bosniaco segnò davvero e non poco, per inciso la prima doppietta con la maglia della Roma.
COSTANTE Ora che le doppiette Dzeko le mette in fila – siamo a tre stagionali, due in giallorosso (Crotone e Napoli) e una in nazionale (Cipro) –, quei fotomontaggi valgono come il punto più basso di una curva che è tornata a salire, salire fin lassù, sul posto più alto della classifica cannonieri. Il Palermo è giusto un pensiero a quel che è stato e che ha rischiato di non essere. Perché non era così scontata, l’evoluzione della parabola. Perché l’ipotesi di un addio le parti l’avevano pure considerata. Mai in maniera convinta per carità, ma il dubbio che il matrimonio potesse in qualche modo interrompersi in fondo era transitato a Trigoria e nella testa di Edin. Poi le chiacchierate con Spalletti, quel «vogliamo usarlo» pronunciato dal tecnico in estate che ha segnato un manifesto programmatico della nuova Roma. I numeri oggi raccontano di uno Dzeko che all’Olimpico, fin qui, ha sempre segnato in campionato: 4 partite e 5 gol, difese mandate al mare fuori stagione o in montagna un po’ in anticipo, punti regalati a Spalletti, malelingue ormai date per disperse e scettici in via di estinzione. E ora con la Juve da rimontare e mettere sotto tiro.
CAPOVOLTO Ora la storia va letta al contrario. La Roma si aggrappa a Dzeko, si arrampica lei stessa per essere all’altezza dei 192 centimetri del bosniaco. C’è una ragione tattica e una psicologica dell’evoluzione della specie. La prima porta la firma di Spalletti, che forse ha riletto il curriculum del bosniaco e ha (ri)scoperto che Dzeko, dalla Bundesliga in giù, ha sempre dato il meglio di sé con una punta nei paraggi. Ecco perché Salah, pur partendo sempre da una posizione defilata, in questa stagione finisce per giocare molto più vicino al compagno di reparto. L’altra è psicologica: è legata a un attaccante che Spalletti ha capito come e quando stimolare, pubblicamente e in via privata. Il giro d’orizzonte si completa stasera. Nella partita in cui la Roma deve tornare, su richiesta del suo allenatore, ad essere più concreta e cattiva in fase offensiva – Austria Vienna docet –, la svolta va affidata proprio a Dzeko, lui che quella prova lì pare averla ormai superata. Per carità, gli esami non finiscono mai. Ma se Spalletti che sul finto centravanti ha costruito mille e una vittoria, è lo stesso Luciano che oggi comincia a fare la formazione partendo dal numero 9, qualcosa di particolarmente speciale dev’essere accaduto. Qualcosa di incredibile, di nevjerovatan. Ora Roma e Dzeko sono semplicemente complici: quando lui segna, la Roma vince. Sempre. Chissà dove porta questa strada.