Vogliamo chiarire una volta per tutte la sua storia con la Roma di Pallotta. Hanno fatto di tutto per strapparti al Torino.
“Cairo non voleva farmi andare via. Non ha mai accettato le mie dimissioni”.
Dopo nemmeno un anno tutto frana nel peggiore dei modi. Sospeso e poi licenziato. Gli hai fatto causa. “Alla radice c’è una mancata comunicazione tra me e Pallotta. L’ho visto due volte in tutto. Al telefono non parlavamo mai, io non parlo inglese. Sono pigro e poi non ho un bel ricordo della mia parentesi inglese (da calciatore al Nottingham Forrest, ndr)”.
Franco Baldini? “Fu lui il primo a chiamarmi, ci conoscevamo da quando facevamo i calciatori. La preistoria. Io estroso, ma potente. Lui un po’ fighetta. Franco ha molto apprezzato il mio lavoro come direttore sportivo”.
Il mandato che ti affidano Pallotta e Baldini… “Ringiovanire la squadra, abbassare i costi e creare premesse per le plusvalenze. Ho fatto molte operazioni low cost. A Torino mi chiamavano Mister Parametro Zero. Altra priorità ricreare un ambiente sano. L’ultimo scudetto era di vent’anni prima. Evidentemente c’erano delle problematiche”.
Smalling, Mancini, Ibanez: l’apprezzatissima difesa a tre della Roma di oggi è tutta farina del tuo sacco… “Quando presi Ibanez a gennaio io fui massacrato in società. Tutti incazzati, a cominciare da Pallotta. Un’operazione a nove milioni più uno di bonus con pagherò a due anni”.
Parlasti di Spinazzola con il tuo amico Antonio Conte? “Con Antonio ci lega una profonda amicizia, ma avevo già questionato con lui su Dzeko, che lui voleva portare all’Inter. “Non mi rompere i coglioni con Dzeko, non te lo do. Inutile che sbatti la testa al muro”, gli dissi.
Come arriva Fonseca alla Roma? “Ho letto tante chiacchiere sul tema. Alla Roma erano davvero convinti di chiudere con Conte. Veniva da un anno difficile, le beghe legali con il Chelsea. Era voglioso di sfide nuove”.
Cos’è mancato per chiudere? “È una trattativa che non ho seguito. Non ero ancora alla Roma. Posso immaginare che Antonio non si sia sentito abbastanza rassicurato. Forse, se avesse parlato direttamente con Pallotta le cose sarebbero andate diversamente. Antonio è diverso da me, io sono un sentimentale, lui è più razionale. Non ha visto, credo, una forte società alle spalle”.
Pentito della scelta di Fonseca? “No. L’unica cosa per cui ci sono rimasto un po’ male è che non ha speso una parola per me dopo il mio allontanamento”.
Si parlava di rottura con lui dopo la tua irruzione nello spogliatoio tra il primo e il secondo tempo di Sassuolo-Roma… “Un’invenzione. Da gennaio in poi è partita una strana campagna contro di me, hanno cominciato a scrivere che litigavo con tutti, giocatori e allenatore”.
Cos’è successo nel tuo allontanamento? “Mi hanno scavato la fossa”, hai detto… “Succede che non sono un diplomatico. Non ci so fare nelle relazioni. Non telefono ai direttore, non mi concedo. Non è nelle mie corde. Così scrivono che attaccavo Zaniolo perché avevo già deciso di venderlo”.
Non era così? “Non lo era al punto che Zaniolo è ancora con la Roma ed è un patrimonio della società. Ho avuto tutti i giornali contro. Sono uno che non dà la notizia, sono più da storta che da dritta. Non ce la faccio a essere finto”.
Sei stato brusco con Zaniolo… “Gli ho detto che doveva tirare fuori la sua anima guerriera, non quella mondana”.
Tu e la Roma. Nessuna autocritica? Hanno detto che eri inadeguato nella comunicazione. Troppo ruspante… “Uno come me si odia o si ama. Avrei potuto essere più morbido nei modi, cercare di farmi conoscere meglio. La verità è che provai ad allontanare qualche gola profonda da Trigoria e fu subito la guerra. A cominciare da certi giornalisti”.
Pallotta a un certo punto sa che non sei più la persona giusta… “Pallotta è un uomo intelligente. Un visionario. Ma il calcio è un mondo a sé. Si è fidato troppo di persone sbagliate. Pallotta oggi si è forse reso conto di quante menzogne gli hanno detto su Petrachi”.
Vogliamo svelare il famoso messaggio che ha scatenato l’ira di Pallotta… “Pallotta, in un’intervista, cita e ringrazia tutti tranne me. Una provocazione. Da lì, il mio messaggio: una protesta, ma anche un grido d’aiuto. Volevo un chiarimento da uomo a uomo”.
Ti sei confidato con qualcuno dentro Trigoria? “Sono molto orgoglioso, non ho più sentito nessuno. Mi dissero anche che, se fosse cambiata proprietà, sarei tornato. Non è andata così”.
Nel frattempo sono arrivati i Friedkin… “Un pranzo di cortesia a dicembre, niente più. Mi sembrarono entusiasti di comprarsi la Roma. Trovo molto positiva la loro presenza. Per un calciatore conta molto vedere il capo che ti ha scelto e ti paga”.
L’assenza di Pallotta, al contrario…
“Mi chiese una volta: cosa posso fare per aiutarti? Si faccia vedere più spesso dai ragazzi, gli risposi”.
Se ti richiamassero per riprendere il discorso interrotto? “Non mi piace essere finito, mio malgrado, in tribunale. Non avevo scelta. Leggo messaggi scorretti in proposito. I cinque milioni che chiedo sono lordi e sono il corrispettivo dei due anni di contratto che ancora mi restavano alla Roma. Non un centesimo in più”.
Non hai risposto. Se ti richiamassero? “Spiegherei alla nuova proprietà le mie ragioni. Dovessi rientrare sarei felice ma, devo essere sincero, non lo farei a qualunque condizione. Io non cambio. Petrachi deve fare Petrachi”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto