La prima telefonata arriva all’alba. Dall’altro capo del filo, Virginia Raggi è un’Erinni. «Ma come ti è venuto in mente di dire quelle cose, ma le pensi davvero?», la domanda che colpisce l’assessore all’Urbanistica come un gancio in faccia. «Adesso o smentisci o sei fuori», il senso del messaggio recapitato all’anziano professore che lei, alla vigilia del ballottaggio, si appuntò per primo sulla giacchetta da superfavorita alla poltrona di sindaco di Roma. Paolo Berdini è mortificato. Farfuglia una spiegazione abborracciata, si giustifica sostenendo che quel colloquio è stato carpito, «il giornalista ha travisato, mettendo insieme affermazioni che avevano un significato diverso». Ma è fiato sprecato: l’ordine è chiaro, non c’è nient’altro da aggiungere. L’ingegnere-funambolo, sette mesi vissuti sempre sul filo, un piede dentro e uno di lato, fra dimissioni annunciate e poi ritirate, capisce che stavolta non ha via di scampo. La sua fama di «anarchico», «eretico», «irregolare» – con cui è a turno è stato definito per raccontarne il carattere fumantino e fuori dagli schemi, specie quelli grillini, lui che si è sempre professato comunista, un passato nel vecchio Pci fin giù al nuovo Pd, «ormai diventato incolore» e perciò rinnegato per la sinistra più estrema – diventa la sua condanna a morte. L’esecuzione è pronta, dal Campidoglio si ode già stridio di ghigliottina quando lui va in radio e in tv per gridare al mondo la teoria del complotto, «quel ragazzo non lo conosco, non ci ho mai parlato, avrà contraffatto con mezzi tecnologici quanto ho detto davvero e cioè che eravamo tutti impreparati, me compreso, davanti al baratro in cui abbiamo trovato la città».
Ma non ci crede nessuno, ormai. Soprattutto Virginia Raggi. «Ha tradito la mia fiducia», ripete ai collaboratori prima di chiamare Beppe Grillo. La sindaca ha deciso: Berdini va cacciato. Il capo del Movimento però è perplesso, la invita a calmarsi: aprire un altro fronte, in un momento così, è troppo rischioso. Un consiglio che arriva, identico, dal vice Luca Bergamo: «Aspettiamo», la placa, «ascoltiamo cosa ha da dire Paolo». Convocato alle tre del pomeriggio, insieme agli altri assessori, per la pre-giunta del mercoledì. Berdini arriva per ultimo. Colleghi e consiglieri sono già seduti nella Sala delle Bandiere. Fremono. Pieni di disappunto e d’ira. «Eccoci, siamo la corte dei miracoli», salutano in coro l’ingresso dell’urbanista. Lui sbianca. Abbassa il capo. Smentire con loro sarebbe una farsa. Non ci prova nemmeno. Gli resta solo arrampicarsi sugli specchi. Mentre, intorno al tavolone risorgimentale, comincia il processo al “Giordano Bruno” che si farebbe bruciare piuttosto che abiurare ai suoi principi e però ora rischia di incenerire il Campidoglio. Gliela cantano forte gli assessori presenti. «Tu non hai mai fatto gioco di squadra», «hai detto frasi orribili», «così ci fai passare tutti per inaffidabili». L’uso del plurale per dissimulare la più pesante delle accuse. Virginia Raggi è livida ma silente. Ordina di tornare al merito della riunione. «Parliamo delle cose da fare, voglio che ciascuno di voi elabori un elenco dei progetti in cantiere, da discutere ogni settimana con la maggioranza». Il redde rationem è solo rimandato. Nel suo studio, dove alla fine si rifugiano in tre: lui, lei e il fidato vice Bergamo. Ogni discolpa è ormai consumata. «Ho fatto una stronzata», ammette l’imputato. «Ma davvero hai detto quelle cose?», torna a chiedere la sindaca. «Non in quel modo e comunque non le penso. Ti chiedo scusa. Chiedo scusa a tutti. Sono pronto a rimettere il mandato», sussurra Berdini. Raggi è glaciale. «Ricucire è impossibile. Ma abbiamo delle cose importanti da finire. Resterai sinché serve». Ovvero fino a quando non verrà individuato un sostituto e conclusa la partita sullo stadio. Il suggerimento di Grillo. Soddisfatto del verdetto. Prima di correre al tempio di Adriano, dove Di Maio l’aspetta, c’è giusto il tempo per scrivere ai consiglieri: «Non cadete nelle polemiche, rilanciate sui temi». L’ultimo messaggio per fingere una normalità che la giunta grillina non ha trovato mai. E che l’audio diffuso sul sito della Stampa precipita di nuovo nel caos. Facendo tornare forte la tentazione di scaricare l’assessore. Subito. Rifilando a lui l’onere della recita: «Respingo la riserva della sindaca e me ne vado».