(…) State operando per ricucire il rapporto con la città?
«Esatto. In questi anni la Roma l’ho osservata dall’esterno ed è cresciuta tantissimo a livello internazionale. Adesso però stiamo cercando di ribilanciare, cercando di riportare una presenza capillare in città, cosa che secondo me si è persa. Faccio un esempio: se vado in giro, dai ristoranti alle officine, alle pareti ci sono le foto degli anni Ottanta, quelle dello scudetto e poi ci si è fermati, come se negli ultimi vent’anni la Roma fosse sparita dalla città. Ecco, noi vogliamo riportala dalla gente».
Alla Juve e al Barcellona si operava in modo diverso ? «Fino al 2015 – poi sono andato via – alla Juve non c’era una fondazione, ma un impegno sociale sul territorio. Il Barcellona invece è forse il club più avanzato sul sociale. Per i giocatori, ad esempio, è obbligatorio donare l’uno per cento del loro stipendio alla fondazione, che poi lo divide tra supporto agli ex calciatori bisognosi e alla fondazione vera e propria. E con la massa salariale che ha il club, sono soldi importanti».
Si potrebbe importare questa idea anche alla Roma? «Certo. Nulla ce lo vieta. Sarebbero cifre diverse, ma pur sempre significative».
Non aiuterebbe un testimonial di livello internazionale? «Potrebbe, ma “Roma Cares” è il miglior testimonial di se stessa; poi noi abbiamo i nostri calciatori, che sostengono anche in silenzio le iniziative perché ci credono. E soprattutto Pallotta, che è l’anima di tutto questo. In America la filantropia è molto più sviluppata». (…)
Dal suo arrivo il ruolo di direttore commerciale non è più quella sorta di Triangolo della Bermuda che inghiottiva ogni manager che si avvicinava… (Ride, ndr) «In effetti di personale ne è cambiato tanto, ma ora c’è la volontà di stabilizzare l’area Io personalmente da a 1 a 10 mi do ancora un 5. Sono molto esigente con me stesso e negli altri.Dobbiamo uscire dalla crisi. Finalmente si sta lavorando tutti insieme per ripartire. Al netto di qualche polemica, come lo sta facendo il Paese, deve farlo il calcio».
Da stratega commerciale, è stata una sfortuna gestire la Roma proprio quando sono andati via Totti e De Rossi? «Sicuramente è stato un momento storico particolare. Inutile però piangersi addosso, L’età è un dato di fatto su cui non possiamo fare nulla. Dobbiamo guardare al futuro e provare a cercare altre forme di promozione del marchio».
Non nascondiamolo: negli ultimi tempi i tifosi sono delusi. È più difficile lavorare? «Tutto è difficile nella vita. Sta a noi riconquistare la fiducia dei tifosi con le giuste parole, le giuste promesse e le giuste aspettative. Ma il tifoso di calcio in generale – e quello della Roma ancora di più – ha una capacità di perdono che è fuori dal comune. Però in tutto guida il risultato sportivo».
A proposito di stadio, si aspetta il via libera al nuovo impianto… «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere… Il coronavirus porta rallentamenti su tutto speriamo che lo stadio sia uno dei meno impattati, quanto meno nell’iter. E poi se dovrà ripartire l’Italia con grandi investimenti, così ci sarebbe di meglio di uno stadio?». (…)
FONTE: La Gazzetta dello Sport