Giù le mani da Dzeko. Anzi, su la testa quando si parla di questo straordinario attaccante. Vero nueve, ma anche un po’ dieci. Dotato di piedi raffinatissimi che permettono paragoni realistici con un certo van Basten senza rischiare il delitto di lesa maestà. Ma soprattutto accompagnato da numeri spaventosi. Settantotto reti (in 145 presenze, con una strepitosa media di 0,54 a partita) delle 299 complessive realizzate in carriera fra club e nazionali, nelle tre stagioni e un pezzetto in maglia giallorossa, lo hanno fatto entrare di prepotenza fra i primi dieci marcatori della storia della Roma. A un tiro di schioppo dai due re dei derby, Da Costa (a 79 gol) e Delvecchio (83), peraltro entrambi con tanti anni di militanza in più sulle spalle.
Quelle del cigno di Sarajevo sono larghe e sopportano pure qualche critica di troppo. Anche se in effetti nelle prime giornate il rendimento del numero nove è stato al di sotto degli standard cui ha abituato il mondo romanista. Sottotraccia (ma neanche troppo) è partito il chiacchiericcio: «Dzeko non è più lo stesso», «è troppo nervoso», «gli manca la voglia mostrata in passato», e così via. Con il fantasma dello scetticismo del primo anno che si faceva pericolosamente largo. Colpa di un gol che tardava ad arrivare, dopo la perla del debutto a Torino. E di qualche espressione accigliata nel momento più difficile per la squadra. Quando anche lui – proprio perché universalmente riconosciuto come uno dei più rappresentativi – è finito nell’occhio del ciclone. Come se all’improvviso fosse diventato un problema della Roma, anziché una delle sue maggiori risorse. Tecniche e carismatiche.
Eppure Edin ha saputo rialzarsi. Gli è bastato annusare l’odore della Champions League, uno dei suoi terreni di caccia prediletti, per tornare a essere il magnifico centravanti che è sempre stato. La furia Dzeko si è abbattuta sui cechi del Viktoria Plzen, nella serata dei grandi numeri (con la tripletta ha superato Giannini nella classifica all time) e dei grandi sentimenti: sua la dedica allo sfortunato Calafiori, con tanto di maglia del ragazzo della Primavera sventolata sotto la tribuna. In Coppa Campioni il bosniaco aveva già superato Pruzzo nella straordinaria cavalcata dell’ultima stagione, quando ha messo a segno otto reti, tutte decisive. Ormai si è attestato sul secondo gradino del podio europeo (alle spalle del solo Totti) come numero di realizzazioni, con 21 centri.
Poi il gol di Empoli, che ha messo il timbro finale sul periodo della rinascita e certificato il suo ritorno a tutti gli effetti fra gli elementi determinanti. Mettendo forse a tacere – almeno per il momento – le polemiche che lo hanno riguardato. Non quelle che arrivano da lontano, però. Che dipingono Edin molto in modo molto differente da come lo conosciamo. Almeno secondo le rivelazioni dell’ex compagno Lescott. «Dzeko non è mai diventato una leggenda del Manchester City – ha sentenziato – perché non capiva di venire dopo Aguero. Spesso entrava dalla panchina e odiava il soprannome di Supersostituto. Un esempio è la partita del titolo contro il Qpr. La rete di Dzeko è stata fondamentale per il pareggio, ma tutto è stato oscurato dal gol vittoria del Kun». Ricordi (di parte) inglesi. Il presente romanista lo elegge leader europeo.
Dzeko e Gengo nemiciamici (…)
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